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dimanche, 30 janvier 2011

La balcanizzazione del Sudan: il ridisegno del Medio Oriente e Africa del Nord

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La balcanizzazione del Sudan: il ridisegno del Medio Oriente e Africa del Nord

Il Sudan è una nazione diversa e un paese che rappresenta la pluralità dell’Africa delle varie tribù, clan, etnie, gruppi religiosi. Tuttavia l’unità del Sudan è in questione, mentre si parla di nazioni unificanti e del giorno della creazione degli Stati Uniti d’Africa attraverso l’Unione africana.
La ribalta è per il referendum del gennaio 2011 in Sud Sudan. L’amministrazione Obama ha annunciato ufficialmente che sostiene la separazione del Sudan meridionale dal resto del Sudan.

La balcanizzazione del Sudan è quello che è veramente in gioco. Per anni i dirigenti ed i funzionari del Sud Sudan sono stati sostenuti dagli USA e dall’Unione europea.

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La politicamente motivata demonizzazione del Sudan

 

Una campagna di demonizzazione importante è in corso contro il Sudan e il suo governo. È vero, il governo sudanese di Khartoum ha avuto un record negativo per quanto riguarda i diritti umani e la corruzione dello stato, e nulla poteva giustificare questo.

Per quanto riguarda il Sudan, condanne selettive o mirate sono state attuate. Ci si dovrebbe, tuttavia, chiedere perché la leadership sudanese è presa di mira dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, mentre la situazione dei diritti umani in diversi clienti sponsorizzati dagli Stati Uniti tra cui l’Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, e l’Etiopia sono casualmente ignorate.

Khartoum è stato diffamata come una oligarchia autocratica colpevole di genocidio mirato sia in Darfur e Sud Sudan. Questa attenzione deliberata sullo spargimento di sangue e l’instabilità nel Darfur e nel Sud Sudan è politica e motivata dai legami di Khartoum con gli interessi petroliferi cinesi.

Il Sudan fornisce alla Cina una notevole quantità di petrolio. La rivalità geo-politica tra Cina e Stati Uniti per il controllo delle forniture energetiche mondiali e africane, è il vero motivo per il castigo del Sudan e il forte sostegno dimostrato dagli Stati Uniti, dall’Unione europea e dagli ufficiali israeliani alla secessione nel Sud Sudan.

E’ in questo contesto che gli interessi cinesi sono stati attaccati. Ciò include l’attacco dell’ottobre 2006 alla Greater Nile Petroleum Company di Defra, Kordofan, da parte della milizia del Justice and Equality Movement (JEM).

Distorcere le violenze in Sudan

Mentre c’è una crisi umanitaria in Darfur e un forte aumento del nazionalismo regionale nel Sudan meridionale, le cause profonde del conflitto sono stati manipolate e distorte. Le cause di fondo della crisi umanitaria in Darfur e il regionalismo nel Sud Sudan sono intimamente collegate a interessi strategici ed economici. Se non altro, l’illegalità e i problemi economici sono i veri problemi, che sono stati alimentati da forze esterne.

Direttamente o tramite proxy (pedine) in Africa, gli Stati Uniti, l’Unione europea e Israele sono i principali architetti degli scontri e dell’instabilità sia in Darfur che in Sud Sudan. Queste potenze straniere hanno finanziato, addestrato e armato le milizie e le forze di opposizione al governo sudanese in Sudan. Esse scaricano la colpa sulle spalle di Khartoum per qualsiasi violenza, mentre esse stesse alimentano i conflitti al fine di controllare le risorse energetiche del Sudan. La divisione del Sudan in diversi stati è parte di questo obiettivo. Il Supporto al JEM, al Sud Sudan Liberation Army (SSLA) e alle altre milizie che si oppongono al governo sudanese da parte degli Stati Uniti, dell’Unione europea e d’Israele è orientato al raggiungimento dell’obiettivo di dividere il Sudan.

E’ anche un caso che per anni, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, e l’intera UE, con la scusa dell’umanitarismo stiano spingendo al dispiegamento di truppe straniere in Sudan. Hanno attivamente sostenuto il dispiegamento di truppe NATO in Sudan sotto la copertura di un mandato di peacekeeping delle Nazioni Unite.

Si tratta della rievocazione delle stesse modalità utilizzate dagli Stati Uniti e dall’Unione europea in altre regioni, in cui i paesi sono stati suddivisi a livello informale o formale e le loro economie ristrutturate dai proxy installati da governi stranieri, sotto la presenza di truppe straniere. Questo è quello che è successo nella ex Jugoslavia (attraverso la creazione di numerose nuove repubbliche) e nell’Iraq occupato dagli anglo-statunitensi (attraverso la balcanizzazione soft tramite una forma di federalismo calcolato, volto a definire uno stato debole e de-centralizzato). Le truppe straniere e una presenza straniera hanno fornito la cortina per lo smantellamento dello stato e l’acquisizione estera delle infrastrutture, risorse ed economie pubbliche.

La questione dell’identità in Sudan

Mentre lo stato sudanese è stato dipinto come oppressivo nei confronti del popolo del Sud Sudan, va osservato che sia il referendum che la struttura di condivisione del potere del governo sudanese, rappresentano qualcos’altro. L’accordo per la condivisione del potere a Khartoum tra Omar Al-Basher, il presidente del Sudan, include il SPLM. Il leader del SPLM, Salva Kiir Mayardit, è il primo vicepresidente del Sudan e  presidente del Sud Sudan.

La questione etnica è stata anche portata alla ribalta dal nazionalismo regionale o etno-regionale che è stato coltivato in Sud Sudan. La scissione in Sudan tra i cosiddetti arabi sudanesi e i cosiddetti africani sudanesi è stata presentata al mondo come la forza principale del nazionalismo regionale che motivatamente chiede di fondare uno Stato in Sud Sudan. Nel corso degli anni, questa auto-differenziazione è stata diffusa e socializzata nella psiche collettiva delle popolazioni del Sud Sudan.

Eppure, le differenze tra i cosiddetti sudanesi arabi e i cosiddetti africani sudanesi non sono un granché. L’identità araba dei cosiddetti arabi sudanesi si basa principalmente sull’uso della loro lingua araba. Supponiamo anche che le identità etniche sudanesi sono totalmente separate. E’ ancora noto, in Sudan, che entrambi i gruppi sono molto eterogenei. L’altra differenza tra il Sud Sudan e il resto del Sudan è che l’Islam predomina nel resto del Sudan e non in Sud Sudan. Entrambi i gruppi sono ancora profondamente legati l’uno all’altro, tranne che per un senso di auto-identificazione, che è ben nel loro diritto avere. Eppure, sono proprio queste diverse identità su cui si è giocato da parte dei leader locali e delle potenze straniere.

La negligenza della popolazione locale di diverse regioni, da parte delle élites del Sudan, è la causa principale dell’ansia o dell’animosità realmente motivate tra le persone nel Sud Sudan e il governo di Khartoum, e non le differenze tra i cosiddetti arabi e i cosiddetti africani sudanesi.
Il favoritismo regionale ha operato in Sud Sudan.

La questione è anche aggravata dalla classe sociale. Il popolo del Sud Sudan crede che la sua condizione economica e tenore di vita migliorerà se formerà una nuova repubblica. Il governo di Khartoum e i sudanesi non-meridionali sono stati usati come capri espiatori per le miserie economiche del popolo del Sud Sudan e della loro percezione della povertà relativa da parte della leadership locale del Sud Sudan. In realtà, i funzionari locali del Sudan meridionale non miglioreranno le condizioni di vita delle popolazioni del Sud Sudan, ma manterranno uno status quo cleptocratico. [1]

Il progetto a lungo termine per balcanizzare il Sudan e i suoi collegamenti con il mondo arabo

In realtà, il progetto di balcanizzazione del Sudan è in corso dalla fine del dominio coloniale britannico nel Sudan anglo-egiziano. Sudan ed Egitto sono stati un paese solo per molti differenti periodi. Sia l’Egitto che il Sudan sono stati anche un paese, in pratica fino al 1956.

Fino alla indipendenza del Sudan, c’era un forte movimento per mantenere l’Egitto e il Sudan uniti come un unico stato arabo, che stava lottando contro gli interessi britannici. Londra, tuttavia, alimentò il regionalismo sudanese contro l’Egitto, e nello stesso modo il regionalismo è al lavoro nel Sud Sudan contro il resto del Sudan. Il governo egiziano è stato raffigurato nello stesso modo di come lo è oggi Khartoum. Gli egiziani sono stati dipinti come sfruttatori dei sudanesi, come i sudanesi non-meridionali sono stati dipinti come sfruttatori dei sudanesi del sud.

Dopo l’invasione britannica di Egitto e Sudan, gli inglesi riuscirono anche a mantenere le loro truppe di stanza in Sudan. Anche mentre lavoravano per dividere il Sudan dall’Egitto, i britannici hanno lavorato per creare differenziazioni interne tra il Sud Sudan e il resto del Sudan. Ciò è stato fatto attraverso il condominio anglo-egiziano del 1899-1956, che costrinse l’Egitto a condividere il Sudan con la Gran Bretagna dopo le rivolte mahdiste. Alla fine, il governo egiziano avrebbe rifiutato di riconoscere il condominio anglo-egiziano come legale. Il Cairo avrebbe continuamente chiesto agli inglesi di porre fine alla loro occupazione militare illegale del Sudan e di smettere di impedire la re-integrazione di Egitto e Sudan, ma gli inglesi si rifiuteranno.

Sarà sotto la presenza delle truppe britanniche che il Sudan si sarebbe dichiarato indipendente. Questo è ciò che porterà alla nascita del Sudan come una stato arabo e africano separato dall’Egitto. Così, il processo di balcanizzazione è iniziato con la divisione del Sudan dall’Egitto.

Il Piano Yinon al lavoro in Sudan e nel Medio Oriente

La balcanizzazione del Sudan è legato anche al Piano Yinon, che è la continuazione dello stratagemma britannico. L’obiettivo strategico del Piano Yinon è quello di garantire la superiorità israeliana attraverso la balcanizzazione del Medio Oriente e degli stati arabi, in stati più piccoli e più deboli. E’ in questo contesto che Israele è stato profondamente coinvolto in Sudan. Gli strateghi israeliani videro l’Iraq come la loro più grande sfida strategica da uno stato arabo. È per questo che l’Iraq è stato delineato come il pezzo centrale per la balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo.The Atlantic, in questo contesto, ha pubblicato un articolo nel 2008 di Jeffrey Goldberg “Dopo l’Iraq: sarà così il Medio Oriente?” [2] In questo articolo di Goldberg, una mappa del Medio Oriente è stato presentato, che seguiva da vicino lo schema del Piano Yinon e la mappa di un futuro in Medio Oriente, presentato dal Tenente-colonnello (in pensione) Ralph Peters, nell’Armed Forces Journal delle forze armate degli Stati Uniti, nel 2006.

Non è neanche un caso che da un Iraq diviso a un Sudan diviso, comparivano sulla mappa. Libano, Iran, Turchia, Siria, Egitto, Somalia, Pakistan e Afghanistan erano presentati anch’esse come nazioni divise. Importante, nell’Africa orientale nella mappa, illustrata da Holly Lindem per l’articolo di Goldberg, l’Eritrea è occupata dall’Etiopia, un alleato degli Stati Uniti e d’Israele, e la Somalia è divisa in Somaliland, Puntland, e una più piccola Somalia.

In Iraq, sulla base dei concetti del Piano Yinon, gli strateghi israeliani hanno chiesto la divisione dell’Iraq in uno stato curdo e due stati arabi, una per i musulmani sciiti e l’altra per i musulmani sunniti. Ciò è stato ottenuto attraverso la balcanizzazione morbida del federalismo nell’Iraq, che ha permesso al Governo regionale del Kurdistan di negoziare con le compagnie petrolifere straniere per conto suo. Il primo passo verso l’istituzione di ciò fu la guerra tra Iraq e Iran, che era discussa nel Piano Yinon.

In Libano, Israele ha lavorato per esasperare le tensioni settarie tra le varie fazioni cristiane e musulmane, nonché i drusi. La divisione del Libano in diversi stati è anche visto come un mezzo per balcanizzare la Siria in piccoli diversi stati arabi settari. Gli obiettivi del Piano Yinon sono di dividere il Libano e la Siria in diversi stati sulla base dall’identità religiosa e settaria per i musulmani sunniti, sciiti, cristiani e drusi.

A questo proposito, l’assassinio di Hariri e il Tribunale speciale per il Libano (STL) giocano a favore di Israele, creando divisioni interne nel Libano e alimentando il settarismo politico. Questo è il motivo per cui Tel Aviv è stato assaiu favorevole al TSL e l’appoggia assai attivamente. In un chiaro segno della natura politicizzata del TSL e dei suoi legami con la geo-politica, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno anche dato al TSL milioni di dollari.

I legami tra gli attacchi contro i copti egiziani e il referendum in Sud Sudan

Dall’Iraq all’Egitto, i cristiani in Medio Oriente sono sotto attacco, mentre le tensioni tra musulmani sciiti e sunniti sono alimentate. L’attacco a una chiesa copta di Alessandria, il 1° gennaio 2011, o le successive proteste e rivolte copte non dovrebbero essere considerati isolatamente. [3] Né la furia successiva dei cristiani copti espressasi nei confronti dei musulmani e del governo egiziano. Questi attacchi contro i cristiani sono legati ai più ampi obiettivi geo-politica di Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e NATO sul Medio Oriente e sul mondo arabo.

Il Piano Yinon precisa che se l’Egitto viene  diviso, il Sudan e la Libia sarebbero anch’esse balcanizzate e indebolite. In questo contesto, vi è un legame tra il Sudan e l’Egitto. Secondo il Piano Yinon, i copti o cristiani d’Egitto, che sono una minoranza, sono la chiave per la balcanizzazione degli stati arabi del Nord Africa. Così, secondo il piano Yinon, la creazione di uno stato copto in Egitto (sud Egitto) e le tensioni cristiani-musulmani in Egitto, sono dei passi essenziali per balcanizzare il Sudan e il Nord Africa.

Gli attacchi ai cristiani in Medio Oriente sono parte delle operazioni di intelligence destinata a dividere il Medio Oriente e il Nord Africa. La tempistica degli attacchi crescenti ai cristiani copti in Egitto e il processo per il referendum nel Sud Sudan, non è una coincidenza. Gli eventi in Sudan ed Egitto sono collegati l’uno all’altro e sono parte del progetto per balcanizzare il mondo arabo e il Medio Oriente. Essi devono anche essere studiati in collaborazione con il Piano Yinon e con gli eventi in Libano e in Iraq, nonché in relazione agli sforzi per creare un divario sunniti-sciiti.

Le connessioni esterne di SSLA, SPLM e milizie nel Darfur

Come nel caso del Sudan, l’interferenza o l’intervento sono stati usati per giustificare l’oppressione dell’opposizione interna. Nonostante la  corruzione, Khartoum è stata sotto assedio per aver rifiutato di essere semplicemente un proxy. Il Sudan s’è giustificato sospettando le truppe straniere e accusando Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele di erodere la solidarietà nazionale del Sudan.  Per esempio, Israele ha inviato armi ai gruppi di opposizione e ai movimenti separatisti in Sudan. Ciò è stato fatto attraverso l’Etiopia per anni, fino a quando l’Eritrea è diventata indipendente dall’Etiopia, che ha fatto perdere all’Etiopia l’accesso al Mar Rosso, e fatto sviluppare cattive relazioni tra gli etiopi e gli eritrei. In seguito le armi israeliane sono entrate nel Sud Sudan dal Kenya. Dal Sud Sudan, il People’s Liberation Movement del Sud Sudan (SPLM), che è il braccio politico del SSLA, avrebbe ceduto le armi alle milizie nel Darfur. I governi di Etiopia e Kenya, così come l’Uganda People’s Defence Force(UPDF), hanno anche lavorato a stretto contatto con Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele in Africa orientale.

Il grado d’influenza israeliana nell’opposizione sudanese e nei gruppi separatisti è significativo. Il SPLM ha forti legami con Israele e suoi membri e sostenitori regolarmente visitano Israele. È grazie a questo, che Khartoum ha capitolato e ha rimosso le restrizioni ai passaporti sudanesi per le visita in Israele, alla fine del 2009, per soddisfare il SPLM. [4] Salva Kiir Mayardit ha anche detto che il Sud Sudan riconoscerà Israele quando sarà separato dal Sudan.

The Sudan Tribune ha riferito, il 5 marzo 2008, che gruppi separatisti in Darfur e nel Sudan meridionale aveva uffici in Israele:
I sostenitori di Israele [del Movimento di liberazione del Popolo del Sudan ] hanno annunciato la costituzione della sede in Israele del Sudan People’s Liberation Movement, ha detto oggi un comunicato stampa. 
Dopo consultazioni con i leader della SPLM a Juba, i sostenitori del SPLM in Israele hanno deciso di istituire l’ufficio del SPLM in Israele”. Detto [sic.] un comunicato ricevuto via email da Tel Aviv, firmato dalla segreteria dell’SLMP in Israele. La dichiarazione ha detto che l’ufficio avrebbe  promosso le politiche e la visione del SPLM nella regione. Ha inoltre aggiunto che, in conformità con il Comprehensive Peace Agreement, lo SPLM ha il diritto di aprire uffici in qualsiasi paese, compreso Israele. Ha inoltre segnalato che ci sono circa 400 sostenitori dell’SPLM in Israele. Il leader dei ribelli del Darfur, Abdel Wahid al-Nur ha detto la scorsa settimana, che ha aperto un ufficio a Tel Aviv. [5]”

Il dirottamento del referendum del 2011 in Sud Sudan

Cosa è successo al sogno di un’Africa unita o di un mondo arabo unito? Il Panarabismo, un movimento di unità di tutti i popoli di lingua araba, ha avuto pesanti perdite, come nell’unità africana. Il mondo arabo e l’Africa sono stati costantemente balcanizzati.

La secessione e balcanizzazione in Africa orientale e nel mondo arabo sono nei piani degli Stati Uniti, d’Israele e della NATO.

L’insurrezione della SSLA è stata segretamente sostenuta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele dagli anni ’80. La formazione di un nuovo stato in Sudan non è destinata a servire gli interessi del popolo del Sud Sudan. Fa parte di un più ampio programma geo-strategico mirato al controllo del Nord Africa e del Medio Oriente.

Il conseguente processo di “democratizzazione” che porta fino al referendum del Gennaio 2011, serve gli interessi delle compagnie petrolifere anglo-statunitensi e alla rivalità contro la Cina. Questo avviene a detrimento della vera sovranità nazionale in Sud Sudan.

Mahdi Darius Nazemroaya è un ricercatore associato del Centre for Research on Globalization (CRG).

NOTE
[1] una cleptocrazia è un governo e/o stato che lavora per proteggere, estendere, approfondire, continuare e consolidare la ricchezza della classe dirigente.

[2] Jeffrey Goldberg, “After Iraq: What Will The Middle East Look Like?” The Atlantic, gennaio/febbraio 2008.

[3] William Maclean, “Copts on global Christmas alert after Egypt bombing”, Reuters, 5 gennaio 2011.
[4] “Sudan removes Israel travel ban from new passport”, Sudan Tribune, 3 ottobre 2009: 


[5] “Sudan’s SPLM reportedly opens an office in Israel – statement”, Sudan Tribune, 5 marzo 2008:

http://www.sudantribune.com/spip.php?page=imprimable&....

 

 

 

ALLEGATO: La mappa del “Nuovo Medio Oriente” del The Atlantic
Nota: la seguente mappa è stata disegnata da Holly Lindem per un articolo di Jeffrey Goldberg. E’ stata pubblicata su The Atlantic di gennaio/febbraio 2008. (Copyright: The Atlantic, 2008). 

Fonte: Global Research 

http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=22736 

Traduzione di Alessandro Lattanzio

http://www.sudantribune.com/spip.php?iframe&page=impr...

 

 

 

di Mahdi Darius Nazemroaya - 27/01/2011

Fonte: eurasia [scheda fonte]

 

 

 

 

Geen rgering? Geld terug!

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Economieprof wil geldkraan naar partijen dichtdraaien: "Geen regering? Geld terug"

Wie niet horen wil, moet voelen. De Gentse economieprofessor Koen Schoors
heeft een voorstel klaar om de lethargische onderhandelaars tot spoed aan te
zetten. "Onze politieke partijen zijn door u en mij verkozen en betaald om
een regering te vormen en het land te besturen. Doen ze dat na 200 dagen nog
altijd niet? Draai dan de geldkraan dicht en leg ze droog." Simplistisch en
onhaalbaar, lijkt het. "Maar het zou verdorie wérken", zegt Schoors. "Geen
regering? Geld terug!"

JAN SEGERS

Professor Schoors (UGent) stelt vast dat de onderhandelingen ongestraft
mogen blijven aanslepen. De partijen voelen het niet waar het pijn doet: in
hun portemonnee. En dus werkte hij een systeem uit (zie kader rechts) dat de
dotaties aan de partijen verdubbelt als ze binnen de honderd dagen een
regering vormen en dat die dotaties na 200 dagen maandelijks verder afbouwt,
desnoods tot nul, en tot nieuwe verkiezingen onvermijdelijk zijn.

Ongetwijfeld zal u populisme verweten worden.

"Onterecht. Ik baseer me als economist op de cijfers. In de discussies over
een nieuwe financieringswet gaat het over enkele honderden miljoenen meer of
minder voor regio X of regio Y. Maar nu al staat vast dat het uitblijven van
een regering elke Vlaming, elke Brusselaar en elke Waal meer zal kosten aan
gestegen intrestlasten dan wat een nieuwe financieringswet hen zou
opbrengen. Het nieuwe ordewoord is responsabilisering, maar de
hoofdrolspelers gedragen zich niet als verantwoordelijke volwassenen, maar
als kleuters die vechten om een stuk speelgoed tot het kapot is. Van de
leefloners en de werklozen tot en met de deelstaten: alles en iedereen moet
volgens de onderhandelaars geresponsabiliseerd worden, verantwoordelijk
gemaakt voor de gevolgen van zijn eigen beleid. Alles en iedereen, behalve
zijzelf. Wel, met mijn voorstel dwing ik hen om op de blaren te zitten als
ze er zoals nu een vaudeville van maken."

U wil de partijen belonen met een extraatje als ze binnen de 100 dagen een
regering vormen. Stimuleert u dan geen haastwerk?

"Neen. Holderdebolder te werk gaan is nergens voor nodig. Hun bonus spelen
de partijen vanaf de 100ste dag geleidelijk kwijt, maar geld verliezen doen
ze pas na de 200ste dag, en dan nog zeer geleidelijk. We zitten nu aan dag
230, zijnde één maand verder. Wel, in mijn schema ontvangt elke partij deze
maand dan slechts 90% van wat ze anders zou krijgen. En volgende maand nog
slechts 80%. Enzovoort. Tot ze droog staat."

Helemaal droog staat ze zelfs dan niet. U bouwt enkel de dotaties af, niet
de lonen van parlementsleden of ministers.

"Inderdaad, ook daarover kan je discussiëren. Nu zeggen de backbenchers in
het parlement tegen hun onderhandelaars: 'Bart, Elio, Joëlle, Wouter, hou
het been stijf!' Zelf hebben ze intussen weinig omhanden, maar worden ze
voluit doorbetaald."

Op welke partijen zou u uw voorstel nu toepassen? Enkel op N-VA en PS? Of op
alle zeven?

"Meer zelfs: op alle politieke partijen, zonder uitzondering."

Zelfs op Vlaams Belang, dat ongewenst is, en op de Open Vld, die pas
gisteren, na 230 dagen, bij de onderhandelingen is betrokken? Is dat fair?

"Ik scheer iedereen over dezelfde kam. De liberalen hebben lang de boot
afgehouden. En het VB is door zijn radicale opstelling zelf een deel van het
probleem."

Redelijken en radicalen: u scheert ze allemaal over één kam?

"Ja, want wat is dat: redelijkheid? Ongetwijfeld vinden Bart De Wever en de
drie Franstalige partijen zichzelf niet onredelijk. Radicaal, dat zijn
altijd de anderen, nooit zijzelf. Zo komen we er nooit, natuurlijk. Mijn
voorstel stimuleert en beloont echte redelijkheid."

Is dat erg democratisch: partijen financieel onder druk zetten om toch maar
geen radicale standpunten te verdedigen?

"Als die standpunten de werking van het land beletten? Ja. Voor dat soort
partijen wil ik als burger geen belasting meer betalen."

Dreigt u niet vooral de koffiedame van de N-VA of de receptionist van de PS
te treffen? Vooral zij worden met die dotaties betaald, niet De Wever of Di
Rupo.

"Die mensen zullen De Wever en Di Rupo wel ter harte gaan, zeker? Ik wil
gewoon af van de huidige regeling. Die zet aan tot radicalisme. Als mijn
voorstel nu al geldig was, zou de druk van alle andere partijen op N-VA en
PS veel groter zijn geweest. Die is er nu amper."

Moeten partijen tussentijds al afgestraft worden? Volstaat het niet dat de
kiezer elke vier jaar de kans krijgt om zelf weg te stemmen wie hij niet
meer wil?

"Ook de kiezer verdient een tweede kans, vind ik. Voor de verkiezingen sloeg
de N-VA een compromisbereide toon aan. Ik ben geen N-VA-vreter, maar na 13
juni hebben ze tegen de afspraken in eerst de financieringswet op tafel
gegooid en daarna de splitsing van de RVA. Geen wonder dat de PS dan
wantrouwig wordt. En dat Elio Di Rupo nadien ook blokkeert op de Vlaamse
vragen die wél volstrekt redelijk zijn. Zo vliegen de dagen en de maanden
voorbij. De onderhandelaars spelen met onze welvaart, en we hebben nu geen
enkel wapen in handen om hen op betere gedachten te brengen. Vandaar mijn
voorstel."

"Het nieuwe ordewoord is responsabilisering, maar ze gedragen zich als
kleuters die vechten om een stuk speelgoed tot het kapot is"

Koen Schoors (UGent)
 

"De onderhandelaars spelen met onze welvaart, maar we hebben nu geen enkel wapen om hen op betere gedachten te brengen"

Koen Schoors (UGent)

© 2011 Het Laatste Nieuws
Publicatie:     Het Laatste Nieuws /
Publicatiedatum:     zaterdag 29 januari 2011

samedi, 29 janvier 2011

Tunisie: la révolution des privilégiés?

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Tunisie : la révolution des privilégiés ?

Un communiqué de Bernard Lugan : 

 

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com/

 

En France, les tartuffes politiques ont applaudi la chute d’une dictature qu’ils fréquentaient assidûment peu auparavant, à commencer par ceux qui voulaient cacher que le RCD (Rassemblement constitutionnel démocratique), le parti du président déchu était membre de l’Internationale socialiste [1].

 

Tous ont oublié qu’en 1987, l’accession au pouvoir du général Ben Ali avait été unanimement saluée comme une avancée démocratique, que sous sa ferme direction, la subversion islamiste avait été jugulée, que la Tunisie était devenue un pays moderne dont la crédibilité permettait un accès au marché financier international. Attirant capitaux et industries, le pays avait à ce point progressé que 80% des Tunisiens étaient devenus propriétaires de leur logement. Ce pôle de stabilité et de tolérance dans un univers musulman souvent chaotique voyait venir à lui des millions de touristes recherchant un exotisme tempéré par une grande modernité. Des milliers de patients venaient s’y faire opérer à des coûts inférieurs et pour une même qualité de soins qu’en Europe. Dans ce pays qui consacrait plus de 8% de son PIB à l’éducation, la jeunesse était scolarisée à 100%, le taux d’alphabétisation était de plus de 75%, les femmes étaient libres et ne portaient pas le voile ; quant à la démographie, avec un taux de croissance de 1,02%, elle avait atteint un quasi niveau européen. 20% du PIB national était investi dans le social et plus de 90% de la population bénéficiait d’une couverture médicale. Autant de réussites quasiment uniques dans le monde arabo-musulman, réussites d’autant plus remarquables qu’à la différence de l’Algérie et de la Libye, ses deux voisines, la Tunisie ne dispose que de faibles ressources naturelles.

 

Les Tunisiens étaient donc des privilégiés auxquels ne manquait qu’une liberté politique généralement inexistante dans le monde arabo-musulman. Ils se sont donc offert le luxe d’une révolution en ne voyant pas qu’ils se tiraient une balle dans le pied. Leur euphorie risque d’ailleurs d’être de courte durée car le pays va devoir faire le bilan d’évènements ayant provoqué des pertes qui s’élevaient déjà à plus de 2 milliards d’euros à la mi-janvier et qui représentaient alors 4% du PIB. La Tunisie va donc sortir de l’épreuve durablement affaiblie, à l’image du secteur touristique qui recevait annuellement plus de 7 millions de visiteurs et qui est aujourd’hui totalement sinistré, ses 350 000 employés ayant rejoint les 13,2% de chômeurs que comptait le pays en décembre 2010.

 

Pour le moment, les Tunisiens ont l’illusion d’être libres. Les plus naïfs croient même que la démocratie va résoudre tous leurs maux, que la corruption va disparaître, que le chômage des jeunes va être résorbé, tandis que les droits de la femme seront sauvegardés… Quand ils constateront qu’ils ont scié la branche sur laquelle ils étaient en définitive relativement confortablement assis, leur réveil sera immanquablement douloureux. Déjà, dans les mosquées, les prêches radicaux ont recommencé et ils visent directement le Code de statut personnel (CSP), ce statut des femmes unique dans le monde musulman. Imposé par Bourguiba en 1956, puis renforcé par Ben Ali en 1993, il fait en effet des femmes tunisiennes les totales égales des hommes. Désormais menacée, la laïcité va peu à peu, mais directement être remise en cause par les islamistes et la Tunisie sera donc, tôt ou tard, placée devant un choix très clair : l’anarchie avec l’effondrement économique et social ou un nouveau pouvoir fort.

 

Toute l’Afrique du Nord subit actuellement l’onde de choc tunisienne. L’Egypte est particulièrement menacée en raison de son effarante surpopulation, de l’âge de son président, de la quasi disparition des classes moyennes et de ses considérables inégalités sociales. Partout, la première revendication est l’emploi des jeunes et notamment des jeunes diplômés qui sont les plus frappés par le chômage. En Tunisie, à la veille de la révolution, deux chômeurs sur trois avaient moins de 30 ans et ils sortaient souvent de l’université. Le paradoxe est que, de Rabat à Tunis en passant par Alger, les diplômés sont trop nombreux par rapport aux besoins. Une fois encore, le mythe du progrès à l’européenne a provoqué un désastre dans des sociétés qui, n’étant pas préparées à le recevoir, le subissent.

 

En Algérie, où la cleptocratie d’Etat a dilapidé les immenses richesses pétrolières et gazières découvertes et mises en activité par les Français, la jeunesse n’en peut plus de devoir supporter une oligarchie de vieillards justifiant des positions acquises et un total immobilisme social au nom de la lutte pour l’indépendance menée il y a plus d’un demi-siècle. Même si les problèmes sociaux y sont énormes, le Maroc semble quant à lui mieux armé dans la mesure où la monarchie y est garante de la stabilité, parce qu’un jeune roi a su hisser aux responsabilités une nouvelle génération et parce que l’union sacrée existe autour de la récupération des provinces sahariennes. Mais d’abord parce que le Maroc est un authentique Etat-nation dont l’histoire est millénaire. Là est toute la différence avec une Algérie dont la jeunesse ne croit pas en l’avenir car le pays n’a pas passé, la France lui ayant donné ses frontières et jusqu’à son nom.

 

   

 

 

Explosie Moskou: onderzoekers verdenken Russische islamist

Explosie Moskou: onderzoekers verdenken Russische islamist

       
attentat-moscou.jpgMOSKOU 27/01 (AFP) = De onderzoekers verdenken er een Russische islamist van verantwoordelijk te zijn voor de zelfmoordaanslag van maandag op
de Moskouse luchthaven Domodedovo. Hij zou samen met een vrouw de aanslag gepleegd hebben. Dat berichtte de Russische krant Kommersant donderdag.
   De krant haalt politiebronnen aan. De man, met de naam Razdoboudko,
zou lid zijn van een islamistische rebellengroepering uit de regio van Stavropol. Die stad ligt in het zuiden van Rusland, in de Kaukasus.

In de Russische media circuleert de piste van een rebellengroepering die aanvankelijk een aanslag vlakbij het Rode Plein in Moskouzou gepland hebben tijdens Nieuwjaarsnacht. Een vrouw moest die aanslag uitvoeren, maar kwam om toen haar explosievengordel te vroeg
ontplofte. Een andere vrouw van de rebellengroepering zou dan de aanslag van maandag op Domodedovo gepleegd hebben.

Volgens de bronnen van Kommersant zouden de twee vrouwen onder dwang van Razdobouko gehandeld hebben, maar de man zou ook bij de aanslag maandag op de Moskouse luchthaven geweest zijn. Op de plaats van de feiten werd in elk geval het hoofd van een man gevonden, aldus Kommersant. VRW/VOC/

Krantenkoppen / Januari 2011 - 10

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Krantenkoppen
 
Januari 2011 /10
 
'Beter PVV'ers doodschieten'
FrontaalNaakt-blogger en medewerker van de Vrije Universiteit Amsterdam Peter Breedveld riep via Twitter de VN op om naar Nederland te komen om PVV'ers dood te schieten. Wat voor hem satire is, leidt op internet tot een stroom van verontwaardiging. Ook PVV-leider Geert Wilders reageert ontstemd: "Te walgelijk voor woorden. Die ambtenaar moet op staande voet worden ontslagen!"
http://www.spitsnieuws.nl/archives/binnenland/2011/01/bet...
 
‘Homorechten niet in gevaar door allochtonen’
Het idee dat de vrijheid van homoseksuelen en vrouwen teloor gaat door de aanwezigheid van allochtonen, is overdreven. Dat zei de Amsterdamse wethouder Andrée van Es (diversiteit, GroenLinks) vanavond tijdens een toespraak op een conferentie in de hoofdstad. ,,Het sentiment van de teloorgang van progressieve waarden is wat mij betreft onterecht.’’
http://www.spitsnieuws.nl/archives/binnenland/2011/01/hom...
 
'Lafaard' Hitler in de maling genomen
Adolf Hitler werd in juni '44 flink in het ootje genomen door de Britse geheime dienst. De Britten slaagden er via een onderschepte memo in Hitler ervan te overtuigen dat D-Day niet aan de kust van Normandië, maar die van Pas de Calais zou plaatsvinden.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/laf...
 
Duitsland stopt steun aan VN-aidsfonds
Duitsland zal de komende tijd geen bijdragen geven aan het internationale fonds dat strijd tegen aids, tuberculose en malaria. De oosterburen besloten hiertoe na berichten over corruptie.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/dui...
 
35 procent meer moslims in 2030
De tsunami van moslims, die sommige personen vrezen, lijkt meer een klein golfje te worden.
De komende twintig jaar groeit het aantal moslims in Europa slechts met twee procent. Nederland telt in 2030 ruim 1,3 miljoen moslims, dat is 7,8 procent van alle Nederlanders. Dat blijkt uit een studie van het Amerikaanse Pew Research Center's Forum on Religion and Public Life.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/35_...
 
Telegrafist Hitler wordt oud
Wie nog op een brief wacht van Rochus Misch, de oude radiotelegrafist van Adolf Hitler, kan het wel vergeten. De man is inmiddels zo oud dat hij de gigantische lading aan fanmail niet meer kan beantwoorden.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/tel...
 
'Alstublieft, Allah, dood alle joden'
Een imam van de Palestijnse terreurorganisatie Hamas is in opspraak geraakt door in een gebed aan Allah te vragen om het vermoorden van alle joden. Hij doet de uitspraken in een twee uur durende documentaire, To Shoot the Elephant, die tegen Israël gericht is en wordt uitgezonden op Palestijnse middelbare scholen.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/als...
 
Terreurverdachten mogen worden uitgeleverd aan België
De drie Marokkaanse Nederlanders, die in november werden opgepakt op verdenking van betrokkenheid bij terrorisme, mogen worden uitgeleverd aan België. Dat heeft de rechtbank in Amsterdam donderdag bepaald.
http://www.refdag.nl/nieuws/binnenland/terreurverdachten_...
 
Frankrijk steunt Grieks grenshek
Frankrijk steunt het Griekse plan om een hek te plaatsen langs delen van de grens met Turkije om illegale immigratie tegen te gaan. Dat heeft de Franse minister van binnenlandse zaken Brice Hortefeux donderdag gezegd.
http://www.trouw.nl/nieuws/wereld/article3398210.ece/Fran...
 
Leers vecht vonnis zaak Sahar aan
Minister voor Immigratie en Asiel Gerd Leers (CDA) gaat in hoger beroep in de zaak van het Afghaanse meisje Sahar. Hij wil van de Raad van State horen of herhaaldelijk procederen, met langdurig verblijf en verwestering tot gevolg, reden moet zijn voor verblijf. Hij vindt de zaak niet zo uitzonderlijk dat hij voor het meisje een uitzondering maakt.
http://www.trouw.nl/nieuws/nederland/article3397960.ece/L...
 
SP wellicht naar rechter om 'discriminatie'
De SP-afdeling van Oude IJsselstreek overweegt een gang naar de rechter als de partij niet meer mag inspreken tijdens vergaderingen van de gemeenteraad. De afdeling krijgt daarbij steun van de Tweede Kamer-fractie van de partij, die een ‘gepeperde’ brief gaat schrijven naar de gemeente. „Hier wordt een grondrecht geschaad. We worden gediscrimineerd op politieke voorkeur. Dat mag niet”, vindt Maurits Gemmink van de plaatselijke SP.
http://www.gelderlander.nl/voorpagina/achterhoek/8044619/...
 
'Bezuinigen op inburgering is dom'
„De bezuinigingen van het kabinet op het inburgeren van mensen vind ik dom”, zegt Otwin van Dijk, wethouder van de gemeente Doetinchem.
http://www.gelderlander.nl/voorpagina/achterhoek/8043691/...
 
Nederland was en is voor Israël
Ook al groeit alom de kritiek op Israël, Nederland is een trouwe steunpilaar gebleven. De documenten die door WikiLeaks naar buiten zijn gebracht kleuren dat beeld verder in.
http://nos.nl/artikel/214587-nederland-was-en-is-voor-isr...
 
PVV: er is angst voor achterban GroenLinks
Volgens de PVV worden er ,,politieke spelletjes'' gespeeld rond het debat over een nieuwe missie in Afghanistan. Een meerderheid van de Kamer wil per se donderdagavond nog het debat afronden, waar de tegenstanders van de missie PVV, SP en de PvdA meer tijd hebben gevraagd.
http://www.bnr.nl/artikel/21296767/pvv-angst-achterban-gr...

Les dernières frasques libertaires et déontologiques de BHL

Les dernières frasques libertaires et déontologiques de BHL

Ex: http://www.acrimed.org/article3520.html

BHL_par_Mor-2-cece2.jpgEncore BHL ? Oui, encore ! Mais pourquoi un tel acharnement ? Parce que l’année 2011 débute en fanfare pour le philosophe en chemise blanche, décidément sur tous les fronts. Et parce que cette fausse grandeur est en charge de la surveillance de plusieurs médias. Pauvres médias !

BHL a-t-il aidé à la censure de Stéphane Hessel ?

C’est en tout cas ce qu’affirme Richard Prasquier, président du Conseil représentatif des institutions juives de France (Crif), dans un éditorial publié le 13 janvier sur le site du Crif. Richard Prasquier se félicite de l’annulation d’une conférence qui devait se dérouler à l’Ecole normale supérieure, en présence de Stéphane Hessel, mais aussi, entre autres, d’Elisabeth Guigou, de Benoît Hurel (Syndicat de la magistrature), de Leïla Shahid (représentante de la Palestine à Bruxelles) ou encore de Michel Warshawski (militant israélien). Le thème de la conférence était la solidarité avec les militants de la campagne de boycott d’Israël poursuivis en justice.

Le CRIF affirme que c’est grâce à son action que la directrice de l’ENS, Monique Canto-Sperber, a décidé d’annuler la conférence. Et, au détour d’une phrase, rend hommage à Valérie Pécresse, au rectorat de Paris, « ainsi qu’à Claude Cohen Tanoudij, prix Nobel de Physique, Bernard Henri Lévy et Alain Finkielkraut, tous anciens élèves de l’Ecole normale supérieure ». La phrase ne souffre d’aucune ambiguité : les trois « anciens » seraient, comme la ministre et le rectorat, intervenus auprès de la direction de l’ENS. BHL, ami d’Israël, aurait-il participé de près ou de loin à ce qui ressemble à s’y méprendre à une atteinte à la liberté d’expression ?

Pendant cinq jours, BHL ne réagit pas à l’éditorial de Richard Prasquier. C’est le 18 janvier, alors que « l’affaire » commence à faire du « buzz » (nous y reviendrons dans un prochain article), qu’il se signale. D’une curieuse manière. C’est en effet au Nouvel Obs, et non au Crif, que BHL fait parvenir le démenti qui suit :

« Je rentre des Etats-Unis et apprends qu’un débat autour de l’opération BDS a été annulé à l’Ecole normale. Contrairement à ce que laisse entendre votre site, je ne suis intervenu ni auprès de madame Canto-Sperber ni auprès de quiconque pour recommander l’annulation de ce débat. Je suis, par principe, même et surtout quand le désaccord est profond, partisan de la confrontation des points de vue – pas de leur "annulation" ».

Dont acte.

Dont acte ? Ou presque.

De deux choses l’une :
– soit le Crif dit la vérité, et BHL tente désespérément de se démarquer de cette initiative peu glorieuse, probablement en raison du « buzz » qu’elle a suscité ;
– soit le Crif ment. Mais dans ce cas, pourquoi BHL qui, chacun le sait, se sent très concerné par tout ce qui le concerne, a-t-il attendu cinq jours avant de réagir ? Pourquoi ne pas avoir exigé qu’un erratum soit publié sur le site de ceux qui sont à la source de cette « mauvaise » information, et non sur le site du Nouvel Obs, qui s’est contenté de la relayer ? Et pourquoi Richard Prasquier n’a-t-il pas, à l’heure où nous écrivons, changé la moindre virgule de son éditorial du 13 janvier ?

Autant de questions qui, pour l’instant, demeurent sans réponse. On ne doute pas que l’affaire ne manquera pas de connaître de nouveaux développements et rebondissements. A l’image d’une autre affaire impliquant BHL, celle qui l’oppose à Bernard Cassen.

BHL salit de nouveau Bernard Cassen...

Nous l’avions rapporté dans un précédent article : dans son Bloc-notes du 23 décembre, BHL commettait une bourde infamante : confondre, en évoquant les « Assises contre l’islamisation de l’Europe », Bernard Cassen, ancien directeur du Monde diplomatique, et Pierre Cassen, animateur de Riposte laïque. Cette utile confusion avait permis à Bernard-Henri de remettre au goût du jour l’un de ses thèmes favoris : les passerelles entre « rouges » et « bruns ». Si la bourde a été rapidement corrigée, BHL n’a toujours pas présenté ses excuses à Bernard Cassen. Bien au contraire...

En effet, dans son Bloc-notes du 6 janvier, il remet le couvert, évoquant « le double procès que [lui] intentent, pour le même article, un groupuscule d’extrême droite et un ancien du Monde diplo ». Par un (pas très) subtil procédé rhétorique, BHL réussit finalement là où il avait échoué deux semaines plus tôt : amalgamer Bernard Cassen et l’extrême droite. L’usage de l’expression « double procès  » est en effet lourde de sens : Cassen et le Bloc identitaire n’étaient peut-être pas côte à côte aux « assises », mais ils le sont désormais dans une croisade commune contre le philosophe en chemise blanche. En somme, BHL, adepte de la prophétie auto-réalisatrice, avait raison avant tout le monde. Soyons certains que cette clairvoyance ne manquerait pas, si l’affaire devait prendre une tournure judiciaire, d’être saluée par les tribunaux.

… et offre une tribune au Bloc identitaire

Tribunaux que la direction du Point semble vouloir éviter, puisqu’elle a accordé au Bloc identitaire, sympathique groupement de jeunes gens épris de valeurs progressistes, un droit de réponse aux approximations de Bernard-Henri Lévy. Comme nous l’avions signalé, l’accusation de « tentative d’assassinat contre Jacques Chirac » portée contre cette organisation était des plus contestables : le Bloc identitaire en tant que tel n’existait pas à l’époque, et c’est Maxime Brunerie, un proche de l’ancêtre du Bloc, Unité radicale, qui avait tenté de tirer sur le chef de l’Etat.

Le Bloc identitaire a donc pu, grâce à la rigueur de BHL, s’adresser, entre autres, au lectorat du Point. Une audience quantitativement inédite pour une organisation qui, bien qu’elle récuse le terme de groupuscule, n’a pas franchement pignon sur rue. Et même si Bernard-Henri a rédigé une « mise au point » à la suite du droit de réponse, le résultat est là : BHL aura offert, à cause de la démesure et de l’emphase habituelles de ses propos, une formidable tribune au Bloc, sans aucun doute ravi de cette publicité à moindres frais. Nous présentons à BHL toutes nos félicitations, auxquelles nous nous empressons d’en ajouter d’autres, au sujet de son courage et de sa lucidité quant à la révolution tunisienne.

BHL et la Tunisie, épisode 1 : le résistant de la 26e heure

Les quelques motivés qui suivent l’actualité du philosophe médiatique ont constaté qu’il a été, durant de longues semaines, silencieux sur la situation en Tunisie. Et soudain, le miracle est arrivé.

Le 13 janvier, (veille du départ de Ben Ali), depuis les États-Unis où il se trouve alors, Bernard-Henri Lévy lance – sur l’antenne d’Europe 1 – un appel dont le retentissement dépasse, et de loin, l’Appel de Londres lancé par le général de Gaulle. Le site « officieux » de BHL se charge, dès le lendemain, de mettre en valeur cette initiative. Les bonnes causes sont avant tout celles qui sont bonnes à la promotion de BHL-Moi-Je. 

Extrait : « Les Tunisiens vivent leur 1789. Et Bernard-Henri Lévy est de ceux qui ont compris que, pour gagner une bataille comme celle-ci, le Net est aujourd’hui un outil incontournable. Il sait les risques juridiques qu’il prend. Mais que faisaient d’autres ceux et celles de ses aînées qui, naguère, signaient des appels pour l’avortement ou pour l’insoumission dans la guerre d’Algérie. C’est la même logique, toujours ». Quand BHL ne met pas lui-même en scène sa légendaire modestie, ses amis se chargent de le faire pour lui.

Mais quelle est donc la prouesse qui nous a valu ce modeste éloge ? Le résistant BHL a posté un message sur Twitter via le compte de sa revue La règle du jeu : « Hackers de tous les pays, unissez-vous. Soutenez les Anonymous. Piratez, bloquez les sites officiels de la Tunisie de Ben Ali. BHL ». Les Anonymous sont des hackers qui, depuis plusieurs semaines, multipliaient les attaques informatiques contre les sites du régime tunisien… sans avoir attendu le réveil de BHL.

Et pourtant, toujours sur le site, on apprend que, malgré le retard à l’allumage de BHL, son « Tweet » « a fait le tour de la Toile ». Vérification faite, le tour fut rapide, comme en témoigne cette capture d’écran, réalisée plus de quarante-huit heures après la publication de l’appel :

 

Un écho international à la hauteur du courage de Bernard-Henri, résistant de la vingt-sixième heure.

BHL et la Tunisie, épisode 2 : Arabes, musulmans, même combat !

Après la chute de Ben Ali, Bernard-Henri ne tient plus en place. Dans son Bloc-notes du 18 janvier, titré « Leçons tunisiennes », il tire, à chaud, ses premiers bilans de la révolte populaire. On apprend ainsi que l’un des éléments notables du soulèvement tunisien est qu’il s’agit d’une « insurrection arabe » (c’est la deuxième « leçon ») : « Eh oui. Rappelez-vous ceux qui nous disaient qu’il y a des peuples faits pour la révolte et d’autres qui ne le sont pas ». Pour BHL, les événements de Tunisie sont la démonstration qu’il n’y a pas de peuple imperméable aux principes démocratiques : « les principes démocratiques sont des principes universels ». Même les Arabes, donc ! Saluons le courage avec lequel Bernard-Henri se défend contre la droite xénophobe et néo-coloniale...

Suit alors une prophétie quasi planétaire : « Aujourd’hui, la Tunisie. Demain, la Libye de Kadhafi. La Syrie de la famille Assad. Peut-être l’Iran d’Ahmadinejad ». Une déclaration qui nous vaudra peut-être un erratum de plus puisque, cher Bernard-Henri, les Iraniens ne sont pas Arabes : ce sont des Perses. Mais c’est vrai qu’après tout la majorité d’entre eux sont aussi des musulmans. L’amalgame est d’autant plus fâcheux qu’il est courant chez ceux que BHL prétend pourfendre dans sa chronique, « ces apôtres de la guerre des civilisations pour qui l’idée même d’un pays musulman et, en particulier, arabe ouvert aux droits de l’homme était une contradiction dans les termes ». On espère que Bernard-Henri saura, avant de nous infliger ses prochaines « leçons » politico-philosophiques, réviser ses leçons d’histoire-géographie.

Selon les fans de BHL, BHL triomphe aux Etats-Unis

Cette approximation est peut-être une conséquence de l’épuisant séjour de BHL aux États-Unis, destiné à promouvoir le livre coécrit avec Michel Houellebecq, Ennemis publics : une tournée qui, d’après le site de la revue de BHL, fut, comme l’annonce le titre de l’article qui lui est consacré, un « Triomphe, aux USA, pour Bernard-Henri Lévy et Michel Houellebecq ». Promotion réussie d’un livre, dont on nous dit qu’ « il semble qu’il soit parti pour faire un tabac ».

En témoigneraient, notamment, les critiques de la presse écrite états-unienne. Maria de França, qui a signé l’article de La règle du jeu, mentionne ainsi « la critique, excellente, signée par Sam Munson dans le Wall Street Journal ». Une critique, il est vrai, plutôt élogieuse. Puis l’article évoque « Les deux critiques, moins favorables mais importantes, signées, dans le New-York Times, par Dwight Garner (page culturelle quotidienne) et Ian Buruma (supplément Livres du week end) ».

Les extraits qui suivent, tirés de la critique de Ian Buruma, montrent ce que La règle du jeu appelle une critique « moins favorable » :

« On peut lire ce livre, un dialogue entre deux célèbres auteurs français, comme un roman comique, une brillante satire traitant de la vanité des écrivains […] ».

« Le running gag qui imprègne l’ensemble de la discussion est cette vaine prétention selon laquelle BHL, l’intellectuel le plus célébré et le plus médiatique [1] en France, et […] l’auteur de best-sellers Michel Houellebecq seraient détestés, persécutés et méprisés par à peu près tout le monde […] ».

« Ce qui est hilarant […] est l’usage des hyperboles […] ».

Et encore :

– « [A propos de la façon dont BHL revendique ses « engagements » (Daniel Pearl, Ayaan Hirsi Ali, Sarajevo, etc.)] : c’est ce que les Allemands appellent un Hochstapler, quelque chose qui se situe entre le vantard et l’imposteur, une célèbre figure comique dans la littérature européenne. (...) »

« Tout est brillamment exécuté. Mais je crains d’avoir à dire que rien de tout ceci n’est destiné à être lu comme un roman comique. Tout est fait avec le plus grand sérieux du monde ».

Etc.

Une critique « moins favorable » ? BHL et ses amis ont, décidément, le triomphe modeste, et manient tout aussi bien l’euphémisme que l’hyperbole. C’est sans doute cela, le « style BHL », complément indispensable de la rigueur et de la probité qu’il met au service du microcosme médiatique et de sa surveillance.

Parole de pape

Un style dont l’emphase et la solennité tiennent en général lieu d’argumentation.

Dans son Bloc-notes du 6 janvier, BHL professe : « Benoît XVI est parfaitement fondé à dire que les chrétiens sont, aujourd’hui, à l’échelle de la planète, le groupe religieux "en butte au plus grand nombre de persécutions" ». Aucun chiffre, aucune enquête, ne viennent étayer ce propos nuancé. Il faut dire que la source de BHL est connue pour sa modération et son objectivité.

Rideau.

Julien Salingue (avec Henri et Serge)

jeudi, 27 janvier 2011

La semaine des révélations en Turquie

La semaine des révélations en Turquie

par Jean-Gilles MALLIARAKIS

Ex: http://www.insolent.fr/

110122

JG Malliarakis

Apostilles

  1. AKP = "Adalet ve Kalkinma Partisi" (en turc : le parti de la justice et du développement, fondé et dirigé par l'actuel premier ministre Erdogan actuellement majoritaire au parlement en attendant les résultats des élections de juin 2011).
  2. Ce nom de Bayloz correspond à l'appellation turque. Le nom anglais "Sledgehammer" apparaît couramment dans la presse. En français ce mot se traduit par "masse" [du forgeron] ; nous dirions plutôt : "massue" [avec un "e"…].
  3. MGK = "Milli Guvenlik Kurulu" (en turc : le Conseil de sécurité nationale)
  4. cf. Une scène bouleversante du très beau film "En attendant les nuages" ("Bulutlari beklerken") de la réalisatrice Yesim Ustaoglu.
  5. Voir à ce sujet les images de la manif meurtrière. Pas besoin d'avoir étudié la langue d'Omar Pamuk pour comprendre…
  6. Sur ce point, la fable de la défense des Chypriotes-Turcs contre les [très méchants] Grecs est balayée par la réalité même de la zone nord occupée, où les autochtones, devenus minoritaires dans leur propre réduit, souvent émigrés au Royaume-Uni, n'exercent plus qu'un pouvoir de façade.
  7. Ne pas confondre avec le général Çetin Dogan, ancien chef de la première armée turque et principal accusé du complot "Bayloz".
  8. PKK = "Partiya Karkerên Kurdistan" (en kurde : parti des travailleurs du Kurdistan")
  9. On se reportera à à mon petit livre sur "La Question turque et l'Europe".
  10. Voir son transport en chaise roulante au moment de ses premiers aveux en octobre 2010.
Au 4e anniversaire du meurtre, commis le 19 janvier 2007, du journaliste arménien Hrant Dink, on doit constater que le terrain judiciaire a permis à une certaine vérité d'avancer. Cela s'est surtout concrétisé d'une manière paradoxale, sans doute imprévue. Car cette affaire se rattache à un nombre impressionnant de crimes du même ordre, commis depuis plusieurs années.


Ils ont été perpétrés notamment, mais pas seulement, contre les chrétiens.

Au fil du temps, on a pu découvrir que l'intention des instigateurs s'inscrit dans le cadre d'une politique intérieure généralement mal comprise des Européens et, encore moins, des Américains. Autrefois un vieil adage du mépris de fer britannique considérait que "les nègres commencent à Calais". Heureusement les Occidentaux ont rompu avec cette erreur. Ils en commettent cependant une autre, pensant que le caractère formel des institutions démocratique de la Turquie en fait un pays en tous points semblable aux leurs.

À Istanbul et Ankara la presse que l'on qualifiera de gouvernementale, les journaux pro-AKP (1), classés à droite, mais également aussi quelques journaux de gauche, parviennent désormais à mettre en cause, et à démontrer, l'hypothèse de réseaux militaro-mafieux, stigmatisés dans ce pays sous le nom "d'État profond".

L'interminable procès du réseau serpent de mer appelé "Ergenekon" divise fortement la Turquie en deux camps. À lire respectivement "Zaman" et "Hürriyet", on en arrive à considérer que deux vérités, peut-être même deux nations se confrontent.

Le premier groupe se situe sur la défensive. Il se retrouve sur le ban des accusés du complot "Ergenekon". S'y a été ajouté le dossier du projet de coup d'État appelé "Bayloz" (2) : en tout, les officiers supérieurs, généraux, amiraux et colonels impliqués atteignaient fin 2010 le nombre de 400. Ils s'identifient au parti de la laïcité, désireuse de s'opposer à la "réaction". Mais n'oublions pas que, dans un tel pays, les militaires représentent aussi un poids économique et social considérable : avec 790 000 hommes sous les drapeaux, le taux de militarisation de la Turquie n'est dépassé dans le monde que par celui de la Corée du nord et, par ricochet, le taux de son adversaire du sud. Or, rappelons-le, contrairement aux deux parties du pays du Matin Calme, la république kémaliste n'est entourée que de petits pays. N'inversons pas les rôles : ce n'est pas la Grèce, effectivement contrainte de déployer un très coûteux effort militaire, qui menace le "pays voisin".

Depuis la rédaction de la constitution de 1982, imposée par les auteurs du coup d'État de septembre 1980, et jusqu'à l'arrivée au pouvoir de l'AKP en 2003, le pouvoir suprême était détenu par le MGK (3). Dans cet exercice, l'État-major d'Ankara, recruté par cooptation, pouvait compter aussi sur le soutien de la haute magistrature. À celle-ci l'attachaient ces tendres liens qu'on appelle "philosophiques" dans des quotidiens tels que la "Nouvelle République" de Tours, la "Dépêche" de Toulouse" ou "l'Est républicain" de Nancy. En Turquie comme en France, le jacobinisme et le laïcisme s'appuient toujours sur les mêmes réseaux.

En face d'eux se trouvent des gens, ceux du parti au pouvoir "AKP", mais également du mouvement islamo-moderniste de Fethullah Gûlen, que l'on qualifie ordinairement, mais peut-être abusivement, en tout cas vaguement, sans que les mots aient été préalablement définis, d'islamistes. À terme, ces musulmans militants et confrériques représenteraient si d'aventure leur pays entrait dans l'Europe, un danger certes beaucoup plus grand que leurs compatriotes kémalistes ou leurs coreligionnaires salafistes.

Constatons que dans le court terme, leur action a permis de mettre en lumière les faces d'ombres de l'Histoire contemporaine de leur pays.

Les occidentaux de ma génération, par exemple, avaient été bercés de la légende de ce qu'on appelait l'helléno-turquisme, les "frères ennemis Grecs et Turcs", réconciliés depuis le gouvernement de Venizelos (1928-1932). Cette rumeur optimiste prospéra jusqu'aux jours noirs de septembre 1955. Les Grecs de Constantinople furent alors victimes de violences inacceptables. Ils durent quitter une Ville, leur Ville, la Ville, que l'on disait "Immortelle", vieille comme l'Histoire humaine, et pourtant d'une beauté toujours étincelante, aujourd'hui encore sous son nom définitivement turc d'Istanbul.

Sans s'étendre sur cette page sombre et lamentable, retenons que jusqu'à une date très récente, ceux qui la connaissaient, bien peu nombreux en France, pays qui ne se connaît pas d'ennemis, en rendaient responsable le gouvernement d'Adnan Menderes. Et celui-ci avait été renversé, et pendu par les militaires kémalistes en 1961.

Or tous les documents publiés par les journaux officieux, à la faveur de la lutte entre le gouvernement civil de l'AKP et les comploteurs d'Ergenekon, prouvent le contraire de ce que nous pensions jusque-là. Tous ces crimes avaient été provoqués par "l'État profond" en vue d'une politique machiavélique.

Notre interprétation superficielle résulte précisément de la désinformation. Elle avait été fabriquée par le jacobinisme local et propagée par ses cercles de confraternité en Europe occidentale et aux États-Unis.

Le régime bipartisan avait été institué en 1946 dans le contexte de la guerre froide et du plan Marshall. Cette apparence, renforcée par l'adhésion à l'OTAN en 1952, allait certes permettre au parti démocrate de récupérer une partie du public musulman, légitimement heurté par la laïcisation à marche forcée de la République à l'époque de son fondateur.

Mais les limites de la liberté sont demeurées, cependant, étroitement surveillées par des équipes adverses, "républicaines", animées d'un nationalisme militaire ombrageux et même obsidional. "Le Turc entouré d'ennemis, inculquent-ils dès l'enfance aux petits écoliers, trahis par les siens, doit faire face et remporter la victoire". (4)

Leur habileté avait consisté à se présenter pour les sous-traitants indispensables du pacte atlantique et de la stratégie occidentale dans la région. En bons serviteurs de l'idée qu'ils se font de leur intérêt national, et d'un destin géopolitique "de l'Adriatique à la muraille de Chine", ils se préoccupent, de toute évidence, comme d'une guigne de l'Atlantique et de l'Occident. Qu'ils aient pu apparaître comme les alliés des Israéliens hier, comme les protecteurs des Arabes aujourd'hui, donne à sourire. La défunte Yougoslavie a cru aussi les compter au nombre de ses amis.

Même la Commission européenne commence à prendre conscience du sens réel des négociations. Elles ne se déroulent pas en vue de l'adhésion et ne peuvent pas aboutir à en faire vraiment un État-Membre. Elles ne sont pas menées en vue de cette fin. Les équipes rivales de l'AKP ont hérité du dossier en 2003. Elles en tirent parti, depuis, dans le sens des réformes internes, plus ou moins libérales, qu'elles souhaitent mettre en œuvre, pour des raisons spécifiques à leur islam confrérique.

Le danger à long terme que représente leur démarche réside en ceci : elle organise, beaucoup plus efficacement que ses concurrentes arabes, saoudiennes, marocaines ou égyptiennes, la propagande, le matraquage et le chantage en vue d'une reconnaissance de l'islam comme "l'une des religions de l'Europe", voire même la "deuxième religion de France". Et ces énormes mensonges s'installent peu à peu.

La thèse de l'accusation dans les procès "Ergenekon" comme dans le sous-dossier "Bayloz" tend à donner une explication commune à tous ces faits qui s'apparentent à l'assassinat de Hrant Dink, soit aussi bien :
- les persécutions du reliquat de populations chrétiennes,
- les actions directes contre les missionnaires, évalués par le MGK comme un danger stratégique pour le pays depuis 2001, et présentés comme tels par une partie de la presse,
- ainsi que les tensions perpétuelles et provocatrices avec la Grèce,
- la fermeture des frontières de l'Arménie depuis 1993,
- le refus d'une solution acceptable à Chypre depuis 1974,
- ou même la mise à mort de 37 alevis à Sivas par une foule où se mêlaient à la fois les intégristes islamistes et les loups gris (5),
- ou l'assassinat mystérieux d'un journaliste comme Ugur Mumcu :
… tout cela résultait donc d'un propos délibéré, protégé par "l'État profond".

Il s'agit, au bout du compte, de maintenir la Turquie sous le joug militaire, de présenter leur intervention comme "barrage à l'islamisme".

Les quatre coups d'État réitérés de 1960 à 1997, aux applaudissements de l'occident, trouveraient leur origine dans cette perspective ainsi que l'invasion de Chypre en 1974 et le maintien d'un régime d'occupation dans le nord de l'île. (6) Ce boulet pèse lourd, sans aucun profit pour la Turquie.

Face à cette authentique "stratégie de la tension" le fameux mot d'ordre du ministre des affaires étrangères "pas de problème avec nos voisins" remplit dès lors une fonction à usage interne.

Tout cela demeurait masqué, voilé, mis en doute par la défense des comploteurs, sûrs d'eux.

Coup de théâtre la semaine écoulée, qui correspondait au 4e anniversaire de meurtre de Hrant Dink.

Les audiences du 17 et du 18 janvier du procès ont, ainsi, mis en relief une personnalité bien significative : celle du olonel de gendarmerie en retraite Arif Dogan. (7) En septembre 2010 on apprenait ses implications dans des crimes que l'on attribue désormais à Jitem, service secret illégal de la gendarmerie turque.

Jitem, rappelons-le, correspond à une structure parallèle fonctionnant à la fois comme service de renseignement et comme "service action" exécuteur des basses besognes. En particulier, à partir des années 1980, une guerre impitoyable a ravagé le sud-est anatolien sous le drapeau du PKK, organisation marxiste-léniniste "parti des travailleurs" (8) se réclamant du Kurdistan. À la même époque l'utilisation du mot même de "Kurde" était sanctionnée par des peines très dures. Il fallait user d'un euphémisme tel que "Turc de la Montagne". En face de cette situation de négation de leur identité culturelle, les populations considérées ont représenté, dès le début de la république, et après une très courte période d'entente avec Kemal, un foyer permanent de rébellions.

Celles-ci ont pris toutes les colorations, notamment celle d'une résistance, qualifiée de féodaliste et obscurantiste. Les excès antireligieux du gouvernement d'Ankara, plaisaient beaucoup en Europe occidentale, en Union Soviétique, en Amérique et, bien entendu, au grand-orient de France.

La dernière force de révolte en date a été fondée en 1978 par un militant gauchiste appelé Abdullah Ocalan. Elle invoque, au contraire des précédantes, une idéologie révolutionnaire que l'iconographie des affiches collées dans les villes d'Europe où le PKK est implanté confirme à l'évidence. Son organisation prit les armes à partir de 1984. Le conflit doit avoir fait 44 000 victimes en un quart de siècle. Il s'agissait, il s'agit encore puisque le terrorisme a repris, d'une vraie guerre.

On ne doit donc pas s'étonner que tous les moyens pour réduire cette affaire aient semblé légitimes aux forces locales du maintien de l'ordre. Et à plusieurs reprises les "protecteurs de villages", recrutés officiellement, ont été dénoncés par les gens qui imaginent de réduire cet État aux critères de l'Europe bien-pensante et consommatrice. (9)

Dans un tel contexte, il a été révélé par le colonel Arif Dogan lui-même que, dès 1986 les réseaux du service secret turc ont suscité et armé un mouvement terroriste kurde rival lui-même, le "Hizbullah" dirigé par Husseÿn Velioglu. Ce dernier mourra en définitive, après 15 ans de violences, sous les balles de la police turque en 2000, dans le cadre d'un kidnapping qu'il avait organisé.

L'idée de recruter ainsi des musulmans fanatiques au sein de la population kurde pour servir aux fins de l'ordre turc n'a certes pas été découverte par le colonel Arif Dogan. Elle avait déjà connu une certaine notoriété à l'époque des premières exactions massives commises à l'encore des Arméniens à la fin du XIXe siècle. Fondée en 1890 sous le règne de Abdul-Hamid II l'unité de cavalerie ottomane "Hamidiyé" passe même pour avoir représenté les précurseurs, dans les années 1895-1896, du génocide de 1915. Mais la différence reste considérable entre une unité répressive d'inspiration légale et un groupe terroriste.

Or l'audience des 17 et 18 janvier a permis au colonel de se justifier, et de le faire d'une manière extrêmement violente. Tel un vieil homme usé, aosr qu'il n'est âgé que de 65 ans (10), il accédait difficilement à la barre. Mais il a explosé et rompu avec le système de défense de tout le camp kémaliste. Depuis le début, celui-ci se voulait "serein". Il nie l'existence du complot : "un simple wargame (en français : kriegspiel), une étude d'école, la réplique purement théorique du coup d'État du général Evren en septembre 1980, etc." Toutes les accusations dont nous faisons état relèveraient d'une propagande odieuse, mensongère, et, horresco referens pour les temps qui courent "islamiste". "Ergenekon" ? Une "légende urbaine" !

Patatras, ayant dirigé pendant 8 ans une lutte antiterroriste, le colonel Arif Dogan s'est mis à hurler qu'il avait défendu son pays. Effectivement. Le président lui demanda donc de se calmer. Mais la révélation était faite : oui, le Jitem avait bien orchestré une activité illégale, oui il avait suscité le Hizbullah kurde de Turquie, oui ce Hizbullah était conçu comme un "Hizb-kontra" sur le mode des "contras" latino-américains, oui ces soi-disant parangons de la laïcité et de l'intégrité du territoire avaient embrigadé des islamistes séparatistes. Sympa le colonel. Il ne restera plus à ses compagnons d'hier que la ressource de faire circuler sa photo et de nous persuader que "toute vieillesse est un naufrage".

Et puis le 19 janvier, vint le tour de l'assassin effectif de Hrant Dink. Incarcéré depuis les faits ce jeune idéaliste de 17 ans ne semble pas avoir trop souffert de son incarcération. Il semble même qu'il ait "été fêté [et nourri] comme un héros national". Or ce jour-là, Ogün Samast a reconnu avoir été envoyé vers sa victime, et encouragé dans son intention meurtrière, par des officiers de gendarmerie.

Si l'on devait croire la "fameuse" encyclopédie Wikipedia, qui ne donne guère d'autres détails à son sujet, le jeune activiste aurait eu de bonnes raisons de liquider Hrant Dink. Il prête en effet à sa victime une déclaration un peu surprenante, dont Wikipedia ne donne évidemment pas la référence : "vider un jour ce sang turc empoisonné et de remplir avec le sang neuf de l’Arménie qui après l’indépendance paraît comme l’avenir des Arméniens du monde entier". Que, quatre ans après le meurtre, Wiki demeure encore alimentée par de tels bobards, en dit long sur la source dominante des gens qui fabriquent et amplifient les rumeurs mondiales.

Rappelons aux lecteurs qu'officiellement, en Turquie, tout le monde a condamné moralement ce crime. Si ce courageux journaliste, qui se savait menacé avait prononcé une phrase pareille, aussi provocatrice, très peu de gens, y compris dans les milieux arméniens eussent pris sa défense, et il serait allé directement en prison, en application du code pénal.

La décision de le liquider semble avoir été prise à partir de 2003. Hrant Dink représentait, dans son journal "Agos", un symbole insupportable. Pour la première fois depuis les événements tragiques qui ont purgé en 1915 la Turquie de l'essentiel de sa population arménienne, puis en 1922 de l'essentiel de sa population grecque, un représentant des survivants de ces minorités osait écrire librement, revendiquant son identité sans pour autant renoncer à sa citoyenneté. Dans tous les systèmes autoritaire clos, la dissidence intérieure appuyée sur le droit, est considérée comme pire que l'exil, pire que la trahison.Quatre ans plus tard, le quotidien Zaman, proche du gouvernement, reconnaît que "Hrant Dink a été victime de la fumée".

Nous dirions plus crûment en France : de l'enfumage systématique.

Autrement dit : les inspirateurs de ses assassins ont bénéficié des puissants instruments de désinformation mis en place et protégés par la complaisance occidentale depuis l'installation en 1946 d'un bipartisme apparent. Jusqu'à l'arrivée au pouvoir de l'AKP en 2003, ce régime avait été limité par divers putschs militaires. Et ceux-ci ont jalonné l'Histoire de ce demi-siècle, y compris le coup d'État dit postmoderne de février 1997.

Comme dans d'autres pays musulmans d'ailleurs, la dictature policière glauque a produit le fumier qui permet à l'islamisme de fleurir.

La semaine des révélations en Turquie

La semaine des révélations en Turquie

par Jean-Gilles MALLIARAKIS

Ex: http://www.insolent.fr/

110122Au 4e anniversaire du meurtre, commis le 19 janvier 2007, du journaliste arménien Hrant Dink, on doit constater que le terrain judiciaire a permis à une certaine vérité d'avancer. Cela s'est surtout concrétisé d'une manière paradoxale, sans doute imprévue. Car cette affaire se rattache à un nombre impressionnant de crimes du même ordre, commis depuis plusieurs années.

Ils ont été perpétrés notamment, mais pas seulement, contre les chrétiens.

Au fil du temps, on a pu découvrir que l'intention des instigateurs s'inscrit dans le cadre d'une politique intérieure généralement mal comprise des Européens et, encore moins, des Américains. Autrefois un vieil adage du mépris de fer britannique considérait que "les nègres commencent à Calais". Heureusement les Occidentaux ont rompu avec cette erreur. Ils en commettent cependant une autre, pensant que le caractère formel des institutions démocratique de la Turquie en fait un pays en tous points semblable aux leurs.

À Istanbul et Ankara la presse que l'on qualifiera de gouvernementale, les journaux pro-AKP (1), classés à droite, mais également aussi quelques journaux de gauche, parviennent désormais à mettre en cause, et à démontrer, l'hypothèse de réseaux militaro-mafieux, stigmatisés dans ce pays sous le nom "d'État profond".

L'interminable procès du réseau serpent de mer appelé "Ergenekon" divise fortement la Turquie en deux camps. À lire respectivement "Zaman" et "Hürriyet", on en arrive à considérer que deux vérités, peut-être même deux nations se confrontent.

Le premier groupe se situe sur la défensive. Il se retrouve sur le ban des accusés du complot "Ergenekon". S'y a été ajouté le dossier du projet de coup d'État appelé "Bayloz" (2) : en tout, les officiers supérieurs, généraux, amiraux et colonels impliqués atteignaient fin 2010 le nombre de 400. Ils s'identifient au parti de la laïcité, désireuse de s'opposer à la "réaction". Mais n'oublions pas que, dans un tel pays, les militaires représentent aussi un poids économique et social considérable : avec 790 000 hommes sous les drapeaux, le taux de militarisation de la Turquie n'est dépassé dans le monde que par celui de la Corée du nord et, par ricochet, le taux de son adversaire du sud. Or, rappelons-le, contrairement aux deux parties du pays du Matin Calme, la république kémaliste n'est entourée que de petits pays. N'inversons pas les rôles : ce n'est pas la Grèce, effectivement contrainte de déployer un très coûteux effort militaire, qui menace le "pays voisin".

Depuis la rédaction de la constitution de 1982, imposée par les auteurs du coup d'État de septembre 1980, et jusqu'à l'arrivée au pouvoir de l'AKP en 2003, le pouvoir suprême était détenu par le MGK (3). Dans cet exercice, l'État-major d'Ankara, recruté par cooptation, pouvait compter aussi sur le soutien de la haute magistrature. À celle-ci l'attachaient ces tendres liens qu'on appelle "philosophiques" dans des quotidiens tels que la "Nouvelle République" de Tours, la "Dépêche" de Toulouse" ou "l'Est républicain" de Nancy. En Turquie comme en France, le jacobinisme et le laïcisme s'appuient toujours sur les mêmes réseaux.

En face d'eux se trouvent des gens, ceux du parti au pouvoir "AKP", mais également du mouvement islamo-moderniste de Fethullah Gûlen, que l'on qualifie ordinairement, mais peut-être abusivement, en tout cas vaguement, sans que les mots aient été préalablement définis, d'islamistes. À terme, ces musulmans militants et confrériques représenteraient si d'aventure leur pays entrait dans l'Europe, un danger certes beaucoup plus grand que leurs compatriotes kémalistes ou leurs coreligionnaires salafistes.

Constatons que dans le court terme, leur action a permis de mettre en lumière les faces d'ombres de l'Histoire contemporaine de leur pays.

Les occidentaux de ma génération, par exemple, avaient été bercés de la légende de ce qu'on appelait l'helléno-turquisme, les "frères ennemis Grecs et Turcs", réconciliés depuis le gouvernement de Venizelos (1928-1932). Cette rumeur optimiste prospéra jusqu'aux jours noirs de septembre 1955. Les Grecs de Constantinople furent alors victimes de violences inacceptables. Ils durent quitter une Ville, leur Ville, la Ville, que l'on disait "Immortelle", vieille comme l'Histoire humaine, et pourtant d'une beauté toujours étincelante, aujourd'hui encore sous son nom définitivement turc d'Istanbul.

Sans s'étendre sur cette page sombre et lamentable, retenons que jusqu'à une date très récente, ceux qui la connaissaient, bien peu nombreux en France, pays qui ne se connaît pas d'ennemis, en rendaient responsable le gouvernement d'Adnan Menderes. Et celui-ci avait été renversé, et pendu par les militaires kémalistes en 1961.

Or tous les documents publiés par les journaux officieux, à la faveur de la lutte entre le gouvernement civil de l'AKP et les comploteurs d'Ergenekon, prouvent le contraire de ce que nous pensions jusque-là. Tous ces crimes avaient été provoqués par "l'État profond" en vue d'une politique machiavélique.

Notre interprétation superficielle résulte précisément de la désinformation. Elle avait été fabriquée par le jacobinisme local et propagée par ses cercles de confraternité en Europe occidentale et aux États-Unis.

Le régime bipartisan avait été institué en 1946 dans le contexte de la guerre froide et du plan Marshall. Cette apparence, renforcée par l'adhésion à l'OTAN en 1952, allait certes permettre au parti démocrate de récupérer une partie du public musulman, légitimement heurté par la laïcisation à marche forcée de la République à l'époque de son fondateur.

Mais les limites de la liberté sont demeurées, cependant, étroitement surveillées par des équipes adverses, "républicaines", animées d'un nationalisme militaire ombrageux et même obsidional. "Le Turc entouré d'ennemis, inculquent-ils dès l'enfance aux petits écoliers, trahis par les siens, doit faire face et remporter la victoire". (4)

Leur habileté avait consisté à se présenter pour les sous-traitants indispensables du pacte atlantique et de la stratégie occidentale dans la région. En bons serviteurs de l'idée qu'ils se font de leur intérêt national, et d'un destin géopolitique "de l'Adriatique à la muraille de Chine", ils se préoccupent, de toute évidence, comme d'une guigne de l'Atlantique et de l'Occident. Qu'ils aient pu apparaître comme les alliés des Israéliens hier, comme les protecteurs des Arabes aujourd'hui, donne à sourire. La défunte Yougoslavie a cru aussi les compter au nombre de ses amis.

Même la Commission européenne commence à prendre conscience du sens réel des négociations. Elles ne se déroulent pas en vue de l'adhésion et ne peuvent pas aboutir à en faire vraiment un État-Membre. Elles ne sont pas menées en vue de cette fin. Les équipes rivales de l'AKP ont hérité du dossier en 2003. Elles en tirent parti, depuis, dans le sens des réformes internes, plus ou moins libérales, qu'elles souhaitent mettre en œuvre, pour des raisons spécifiques à leur islam confrérique.

Le danger à long terme que représente leur démarche réside en ceci : elle organise, beaucoup plus efficacement que ses concurrentes arabes, saoudiennes, marocaines ou égyptiennes, la propagande, le matraquage et le chantage en vue d'une reconnaissance de l'islam comme "l'une des religions de l'Europe", voire même la "deuxième religion de France". Et ces énormes mensonges s'installent peu à peu.

La thèse de l'accusation dans les procès "Ergenekon" comme dans le sous-dossier "Bayloz" tend à donner une explication commune à tous ces faits qui s'apparentent à l'assassinat de Hrant Dink, soit aussi bien :
- les persécutions du reliquat de populations chrétiennes,
- les actions directes contre les missionnaires, évalués par le MGK comme un danger stratégique pour le pays depuis 2001, et présentés comme tels par une partie de la presse,
- ainsi que les tensions perpétuelles et provocatrices avec la Grèce,
- la fermeture des frontières de l'Arménie depuis 1993,
- le refus d'une solution acceptable à Chypre depuis 1974,
- ou même la mise à mort de 37 alevis à Sivas par une foule où se mêlaient à la fois les intégristes islamistes et les loups gris (5),
- ou l'assassinat mystérieux d'un journaliste comme Ugur Mumcu :
… tout cela résultait donc d'un propos délibéré, protégé par "l'État profond".

Il s'agit, au bout du compte, de maintenir la Turquie sous le joug militaire, de présenter leur intervention comme "barrage à l'islamisme".

Les quatre coups d'État réitérés de 1960 à 1997, aux applaudissements de l'occident, trouveraient leur origine dans cette perspective ainsi que l'invasion de Chypre en 1974 et le maintien d'un régime d'occupation dans le nord de l'île. (6) Ce boulet pèse lourd, sans aucun profit pour la Turquie.

Face à cette authentique "stratégie de la tension" le fameux mot d'ordre du ministre des affaires étrangères "pas de problème avec nos voisins" remplit dès lors une fonction à usage interne.

Tout cela demeurait masqué, voilé, mis en doute par la défense des comploteurs, sûrs d'eux.

Coup de théâtre la semaine écoulée, qui correspondait au 4e anniversaire de meurtre de Hrant Dink.

Les audiences du 17 et du 18 janvier du procès ont, ainsi, mis en relief une personnalité bien significative : celle du olonel de gendarmerie en retraite Arif Dogan. (7) En septembre 2010 on apprenait ses implications dans des crimes que l'on attribue désormais à Jitem, service secret illégal de la gendarmerie turque.

Jitem, rappelons-le, correspond à une structure parallèle fonctionnant à la fois comme service de renseignement et comme "service action" exécuteur des basses besognes. En particulier, à partir des années 1980, une guerre impitoyable a ravagé le sud-est anatolien sous le drapeau du PKK, organisation marxiste-léniniste "parti des travailleurs" (8) se réclamant du Kurdistan. À la même époque l'utilisation du mot même de "Kurde" était sanctionnée par des peines très dures. Il fallait user d'un euphémisme tel que "Turc de la Montagne". En face de cette situation de négation de leur identité culturelle, les populations considérées ont représenté, dès le début de la république, et après une très courte période d'entente avec Kemal, un foyer permanent de rébellions.

Celles-ci ont pris toutes les colorations, notamment celle d'une résistance, qualifiée de féodaliste et obscurantiste. Les excès antireligieux du gouvernement d'Ankara, plaisaient beaucoup en Europe occidentale, en Union Soviétique, en Amérique et, bien entendu, au grand-orient de France.

La dernière force de révolte en date a été fondée en 1978 par un militant gauchiste appelé Abdullah Ocalan. Elle invoque, au contraire des précédantes, une idéologie révolutionnaire que l'iconographie des affiches collées dans les villes d'Europe où le PKK est implanté confirme à l'évidence. Son organisation prit les armes à partir de 1984. Le conflit doit avoir fait 44 000 victimes en un quart de siècle. Il s'agissait, il s'agit encore puisque le terrorisme a repris, d'une vraie guerre.

On ne doit donc pas s'étonner que tous les moyens pour réduire cette affaire aient semblé légitimes aux forces locales du maintien de l'ordre. Et à plusieurs reprises les "protecteurs de villages", recrutés officiellement, ont été dénoncés par les gens qui imaginent de réduire cet État aux critères de l'Europe bien-pensante et consommatrice. (9)

Dans un tel contexte, il a été révélé par le colonel Arif Dogan lui-même que, dès 1986 les réseaux du service secret turc ont suscité et armé un mouvement terroriste kurde rival lui-même, le "Hizbullah" dirigé par Husseÿn Velioglu. Ce dernier mourra en définitive, après 15 ans de violences, sous les balles de la police turque en 2000, dans le cadre d'un kidnapping qu'il avait organisé.

L'idée de recruter ainsi des musulmans fanatiques au sein de la population kurde pour servir aux fins de l'ordre turc n'a certes pas été découverte par le colonel Arif Dogan. Elle avait déjà connu une certaine notoriété à l'époque des premières exactions massives commises à l'encore des Arméniens à la fin du XIXe siècle. Fondée en 1890 sous le règne de Abdul-Hamid II l'unité de cavalerie ottomane "Hamidiyé" passe même pour avoir représenté les précurseurs, dans les années 1895-1896, du génocide de 1915. Mais la différence reste considérable entre une unité répressive d'inspiration légale et un groupe terroriste.

Or l'audience des 17 et 18 janvier a permis au colonel de se justifier, et de le faire d'une manière extrêmement violente. Tel un vieil homme usé, aosr qu'il n'est âgé que de 65 ans (10), il accédait difficilement à la barre. Mais il a explosé et rompu avec le système de défense de tout le camp kémaliste. Depuis le début, celui-ci se voulait "serein". Il nie l'existence du complot : "un simple wargame (en français : kriegspiel), une étude d'école, la réplique purement théorique du coup d'État du général Evren en septembre 1980, etc." Toutes les accusations dont nous faisons état relèveraient d'une propagande odieuse, mensongère, et, horresco referens pour les temps qui courent "islamiste". "Ergenekon" ? Une "légende urbaine" !

Patatras, ayant dirigé pendant 8 ans une lutte antiterroriste, le colonel Arif Dogan s'est mis à hurler qu'il avait défendu son pays. Effectivement. Le président lui demanda donc de se calmer. Mais la révélation était faite : oui, le Jitem avait bien orchestré une activité illégale, oui il avait suscité le Hizbullah kurde de Turquie, oui ce Hizbullah était conçu comme un "Hizb-kontra" sur le mode des "contras" latino-américains, oui ces soi-disant parangons de la laïcité et de l'intégrité du territoire avaient embrigadé des islamistes séparatistes. Sympa le colonel. Il ne restera plus à ses compagnons d'hier que la ressource de faire circuler sa photo et de nous persuader que "toute vieillesse est un naufrage".

Et puis le 19 janvier, vint le tour de l'assassin effectif de Hrant Dink. Incarcéré depuis les faits ce jeune idéaliste de 17 ans ne semble pas avoir trop souffert de son incarcération. Il semble même qu'il ait "été fêté [et nourri] comme un héros national". Or ce jour-là, Ogün Samast a reconnu avoir été envoyé vers sa victime, et encouragé dans son intention meurtrière, par des officiers de gendarmerie.

Si l'on devait croire la "fameuse" encyclopédie Wikipedia, qui ne donne guère d'autres détails à son sujet, le jeune activiste aurait eu de bonnes raisons de liquider Hrant Dink. Il prête en effet à sa victime une déclaration un peu surprenante, dont Wikipedia ne donne évidemment pas la référence : "vider un jour ce sang turc empoisonné et de remplir avec le sang neuf de l’Arménie qui après l’indépendance paraît comme l’avenir des Arméniens du monde entier". Que, quatre ans après le meurtre, Wiki demeure encore alimentée par de tels bobards, en dit long sur la source dominante des gens qui fabriquent et amplifient les rumeurs mondiales.

Rappelons aux lecteurs qu'officiellement, en Turquie, tout le monde a condamné moralement ce crime. Si ce courageux journaliste, qui se savait menacé avait prononcé une phrase pareille, aussi provocatrice, très peu de gens, y compris dans les milieux arméniens eussent pris sa défense, et il serait allé directement en prison, en application du code pénal.

La décision de le liquider semble avoir été prise à partir de 2003. Hrant Dink représentait, dans son journal "Agos", un symbole insupportable. Pour la première fois depuis les événements tragiques qui ont purgé en 1915 la Turquie de l'essentiel de sa population arménienne, puis en 1922 de l'essentiel de sa population grecque, un représentant des survivants de ces minorités osait écrire librement, revendiquant son identité sans pour autant renoncer à sa citoyenneté. Dans tous les systèmes autoritaire clos, la dissidence intérieure appuyée sur le droit, est considérée comme pire que l'exil, pire que la trahison.Quatre ans plus tard, le quotidien Zaman, proche du gouvernement, reconnaît que "Hrant Dink a été victime de la fumée".

Nous dirions plus crûment en France : de l'enfumage systématique.

Autrement dit : les inspirateurs de ses assassins ont bénéficié des puissants instruments de désinformation mis en place et protégés par la complaisance occidentale depuis l'installation en 1946 d'un bipartisme apparent. Jusqu'à l'arrivée au pouvoir de l'AKP en 2003, ce régime avait été limité par divers putschs militaires. Et ceux-ci ont jalonné l'Histoire de ce demi-siècle, y compris le coup d'État dit postmoderne de février 1997.

Comme dans d'autres pays musulmans d'ailleurs, la dictature policière glauque a produit le fumier qui permet à l'islamisme de fleurir.

JG Malliarakis
2petitlogo


Apostilles

  1. AKP = "Adalet ve Kalkinma Partisi" (en turc : le parti de la justice et du développement, fondé et dirigé par l'actuel premier ministre Erdogan actuellement majoritaire au parlement en attendant les résultats des élections de juin 2011).
  2. Ce nom de Bayloz correspond à l'appellation turque. Le nom anglais "Sledgehammer" apparaît couramment dans la presse. En français ce mot se traduit par "masse" [du forgeron] ; nous dirions plutôt : "massue" [avec un "e"…].
  3. MGK = "Milli Guvenlik Kurulu" (en turc : le Conseil de sécurité nationale)
  4. cf. Une scène bouleversante du très beau film "En attendant les nuages" ("Bulutlari beklerken") de la réalisatrice Yesim Ustaoglu.
  5. Voir à ce sujet les images de la manif meurtrière. Pas besoin d'avoir étudié la langue d'Omar Pamuk pour comprendre…
  6. Sur ce point, la fable de la défense des Chypriotes-Turcs contre les [très méchants] Grecs est balayée par la réalité même de la zone nord occupée, où les autochtones, devenus minoritaires dans leur propre réduit, souvent émigrés au Royaume-Uni, n'exercent plus qu'un pouvoir de façade.
  7. Ne pas confondre avec le général Çetin Dogan, ancien chef de la première armée turque et principal accusé du complot "Bayloz".
  8. PKK = "Partiya Karkerên Kurdistan" (en kurde : parti des travailleurs du Kurdistan")
  9. On se reportera à à mon petit livre sur "La Question turque et l'Europe".
  10. Voir son transport en chaise roulante au moment de ses premiers aveux en octobre 2010.

Kosovo's Thaçi: Human Organs Trafficker

Illegal-Organ-Harvesting-2.jpg

Kosovo's Thaçi: Human Organs Trafficker

by Srdja Trifkovic

Ex: http://www.chroniclesmagazine.org/ 

The details of an elaborate KLA-run human organ harvesting ring, broadly known for years, have been confirmed by a Council of Europe report published on January 15. The report, “Inhuman treatment of people and illicit trafficking of human organs in Kosovo” identifies the province’s recently re-elected “prime minister” Hashim Thaçi as the boss of a “mafia-like” Albanian group specialized in smuggling weapons, drugs, people, and human organs all over Europe. The report reveals that Thaçi’s closest aides were taking Serbs across the border into Albania after the war, murdering them, and selling their organs on the black market. In addition, the report accuses Thaçi of having exerted “violent control” over the heroin trade for a decade.

Deliberate Destrution of Evidence – Long dismissed in the mainstream media as “Serbian propaganda,” the allegations of organ trafficking – familiar to our readers – were ignored in the West until early 2008, when Carla Del Ponte, former Prosecutor at the International Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) at The Hague, revealed in her memoirs that she had been prevented from initiating any serious investigation into its merits. She also revealed – shockingly – that some elements of proof taken by ICTY field investigators from the notorious “Yellow House” in the Albanian town of Rripe were destroyed at The Hague, thus enabling the KLA and their Western enablers to claim that “there was no evidence” for the organ trafficking allegations.

In April 2008, prompted by Del Ponte’s revelations, seventeen European parliamentarians signed a motion for a resolution calling on the Assembly to examine the allegations. The matter was referred to the Assembly’s Committee on Legal Affairs and Human Rights, which in June 2008 appointed Swiss senator Dick Marty as its rapporteur. He had gained international prominence by his previous investigation of accusations that the CIA abducted and imprisoned terrorism suspects in Europe.

“Genuine Terror” – In his Introductory Remarks Marty revealed some of the “extraordinary challenges of this assignment”: the acts alleged purportedly took place a decade ago, they were not properly investigated by any of the national and international authorities with jurisdiction over the territories concerned. In addition, Marty went on,

… efforts to establish the facts of the Kosovo conflict and punish the attendant war crimes had primarily been concentrated in one direction, based on an implicit presumption that one side were the victims and the other side the perpetrators. As we shall see, the reality seems to have been more complex.  The structure of Kosovar Albanian society, still very much clan-orientated, and the absence of a true civil society have made it extremely difficult to set up contacts with local sources. This is compounded by fear, often to the point of genuine terror, which we have observed in some of our informants immediately upon broaching the subject of our inquiry.  Even certain representatives of international institutions did not conceal their reluctance to grapple with these facts: “The past is the past”, we were told; “we must now look to the future.”

The report says Thaçi’s links with organized crime go back to the late 1990’s, when his Drenica Group became the dominant faction within the KLA. By 1998 he was able to grab control of “most of the illicit criminal enterprises” in Albania itself. Thaçi and four other members of the Drenica Group are named as personally guilty of assassinations, detentions and beatings:

In confidential reports spanning more than a decade, agencies dedicated to combating drug smuggling in at least five countries have named Hashim Thaçi and other members of his Drenica Group as having exerted violent control over the trade in heroin and other narcotics… Thaçi and these other Drenica Group members are consistently named as “key players” in intelligence reports on Kosovo’s mafia-like structures of organised crime. I have examined these diverse, voluminous reports with consternation and a sense of moral outrage.

Marty notes that the international community chose to ignore war crimes by the KLA, enabling Thaçi’s forces to conduct a campaign of murdereous terror against Serbs, Roma, and Albanians accused of collaborating with the Serbs. Some 500 of them “disappeared after the arrival of KFOR troops on 12 June 1999,” about a hundred Albanians and 400 others, most of them Serbs. Some of these civilians had been secretly imprisoned by the KLA at different locations in northern Albania, the report adds, “and were subjected to inhuman and degrading treatment, before ultimately disappearing.” Captives were “filtered” in ad-hoc prisons for their suitability for organ harvesting based on sex, age, health and ethnic origin. They were then sent to the last stop – a makeshift clinic near Fushë-Krujë, close to the Tirana airport:

As and when the transplant surgeons were confirmed to be in position and ready to operate, the captives were brought out of the ‘safe house’ individually, summarily executed by a KLA gunman, and their corpses transported swiftly to the operating clinic.

Thaçi the Untouchable – The report states that Thaçi’s Drenica Group “bear the greatest responsibility” for the prisons and the fate of those held in them. It criticizes the governments supportive of Kosovo’s independence for not holding to account senior Albanians in Kosovo, including Thaçi, and of lacking the will to effectively prosecute the former leaders of the KLA. The diplomatic and political support by such powers “bestowed upon Thaçi, not least in his own mind, a sense of being untouchable.”

Marty concludes that “[t]he signs of collusion between the criminal class and the highest political and institutional office holders are too numerous and too serious to be ignored,” but “the international authorities in charge of the region did not consider it necessary to conduct a detailed examination of these circumstances, or did so incompletely and superficially.”

Following Marty’s presentation of the report to the Council of Europe in Paris on December 16 it will be debated by the Parliamentary Assembly in Strasbourg on January 25.

Media Reaction – Within days of the publication of Marty’s report, numerous of excellent articles were published in the mainstream media Europe linking his revelations with the broader problem of NATO’s war against the Serbs in 1999, the precedent it had created for Afghanistan and Iraq, and the nature of the “Kosovar” society today.

Neil Clark in The Guardian assailed “the myth of liberal intervention.” Far from being Tony Blair’s “good” war, he wrote, the assault on Yugoslavia was as wrong as the invasion of Iraq:

It was a fiction many on the liberal left bought into. In 1999 Blair was seen not as a duplicitous warmonger in hock to the US but as an ethical leader taking a stand against ethnic cleansing. But if the west had wanted to act morally in the Balkans and to protect the people in Kosovo there were solutions other than war with the Serbs, and options other than backing the KLA – the most violent group in Kosovan politics… Instead, a virulently anti-Serb stance led the west into taking ever more extreme positions, and siding with an organisation which even Robert Gelbard, President Clinton’s special envoy to Kosovo, described as “without any question, a terrorist group.”

Clark reminds us that it was the KLA’s campaign of violence in 1998 which led to an escalation of the conflict with the government in Belgrade. “We were told the outbreak of war in March 1999 with NASTO was the Serbian government’s fault,” he adds, yet Lord Gilbert, the UK defence minister, admitted “the terms put to Miloševic at Rambouillet [the international conference preceding the war] were absolutely intolerable … it was quite deliberate.” Then came the NATO occupation, under which an estimated 200,000 ethnic Serbs and other minorities from south Kosovo, and almost the whole Serb population of Pristina, have been forced from their homes. But as the Iraq war has become discredited, Clark concludes,

so it is even more important for the supporters of “liberal interventionism” to promote the line that Kosovo was in some way a success. The Council of Europe’s report on the KLA’s crimes makes that position much harder to maintain. And if it plays its part in making people more sceptical about any future western “liberal interventions”, it is to be warmly welcomed.

Tony Blair has some very bizarre friends, wrote Stephen Glover in The Daily Mail, but a monster who traded in human body parts beats the lot. The prime minister of ­Kosovo is painted by the report as a major war criminal presiding over a corrupt and dysfunctional state, Glover says, and yet this same Mr Thaci and his associates in the so-called Kosovo ­Liberation Army were put in place after the U.S. and Britain launched an onslaught in March 1999 against Serbia, dropping more than 250,000 and killing an estimated 1,500 blameless ­civilians:

This was Mr Blair’s first big war, and it paved the way for the subsequent Western invasion of Iraq. The crucial difference is that while the Left in ­general and the Lib Dems in particular opposed the war against Saddam ­Hussein, both were among Mr Blair’s main cheerleaders as he persuaded President Bill Clinton to join forces with him in crushing Serbia.

Both London and Washington tended to ignore atrocities committed by Hashim Thaci’s KLA, Glover concludes, and offered unacceptably draconian terms to the Serbs “because by that stage Blair and Clinton preferred war”:

Those were the days, of course, when most of the media thought Tony Blair could do no wrong. His military success in 1999 convinced him that Britain could and should play the role of the world’s number two policeman to the U.S. A ­messianic note entered his rhetoric, as at the 2001 Labour party conference, when he raved that ‘the kaleidoscope has been shaken… Let us ­­re-order this world about us.” … What happened in Kosovo helped shape subsequent events in Iraq and Afghanistan. It is richly ironic that ‘liberated’ Kosovo should now be a failed, gangster state… With his messianic certainties, the morally bipolar Tony Blair liked to divide the world into ‘goodies’ and ‘baddies’, having presumptuously placed himself in the first category. How fitting that this begetter of war after war should end up by receiving the Golden Medal of Freedom from a monster who traded in body parts.

U.S. Damage Limitation and Self-Censorship – Such commentary is light years away from the feeble and half-hearted reporting in the American mainstream media. The Chicago Tribune, for instance, did not deem it fit to publish a story about the Council of Europe report itself. It published two related items critical of the report instead, on the European Union expressing doubt about its factual basis and on the “government” of Kosovo planning to sue Dick Marty for libel. No major daily has published a word of doubt about Bill Clinton’s wisdom of waging a war on behalf of Thaçi and his cohorts a decade ago, or perpetuating the myth of it having been a good war today.

That Thaçi aka “The Snake” is a criminal as well as a war criminal is no news, of course. The intriguing question is who, on the European side, wanted to end his “untouchable” status, why now, and what is the U.S. Government – his principal enabler and abettor – going to do about it.

Unsurprisingly, Thaçi’s “government” dismissed the report on December 14 as “baseless and defamatory.” On that same day Hashim Thaçi wrote in a telegram to President Obama that “the death of Richard Holbrooke is a loss of a friend.” “The Snake” has many other friends in Washington, however, people like US senator (and current foe of WikiLeaks) Joseph Lieberman, who declared back in 1999 at the height of the US-led war against the Serbs that “the United States of America and the Kosovo Liberation Army stand for the same human values and principles … Fighting for the KLA is fighting for human rights and American values.” Thaçi’s photos with top U.S. officials are a virtual Who’s Who of successive Administrations over the past 12 years: Bill and Hillary Clinton, Albright, Bush, Rice, Biden, Wesley Clark…

Thaçi’s American enablers and their media minions are already embarking on a bipartisan damage-limitation exercise. Its twin pillars will be the assertion that the report rests on flimsy factual evidence, an attempt to discredit Dick Marty personally, and the claim the Council of Europe as an irrelevant talking shop.

mardi, 25 janvier 2011

La guerre de la pistache

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La guerre de la pistache

9 décembre, 2010 - Ex.: http://www.knowckers.org/ 

Il n’y pas que le pétrole qui attise les tensions entre les États-Unis et l’Iran, il y a également la pistache. En effet cette petite noix verte, consommé surtout durant l’été dans des glaces ou durant des apéritifs par des millions de personnes dans le monde, fait l’objet depuis plus de 30 ans de tensions entre Téhéran et Washington.
Depuis la chute du Shah d’Iran en 1979, les États-Unis livrent une bataille sans merci contre l’Iran au sujet de la pistache.
A la suite de la révolution islamique en 1979, les américains décident de mettre l’Iran sous embargo et se retrouvent alors sans pistaches. Mais quelques décennies plus tôt un botaniste américain avait extirpé en contrebande plusieurs kilos de pistache de la Perse, Iran actuel. L’état Californien décide alors de commencer à produire ses propres ressources de pistache. La terre californienne s’avère très fertile pour l’exploitation de la pistache.
L’Iran réussi tout de même à conserver sa position de leader mondial en termes de production de pistache. Ce marché bénéficie principalement à l’ancien président Hachemi Rafsandjani, avec des revenues estimés à plus de 700 millions de dollars. En 2008, la production américaine parvient presque à égaler  celle de l’Iran.
Mais, il s’avère que l’enjeu principal concernant le marché de la pistache se situe en Israël. En effet le pays est le plus gros consommateur de pistache au monde. De plus les importations de pistache en Israël proviennent de son voisin iranien.
Washington, allié d’Israël, a alors sommé Tel-Aviv de stopper ses importations de pistache originaire d’Iran, au nom du respect des sanctions prises par l’ONU contre la république islamique. Tout porte à croire que cette menace des États-Unis est prise au sérieux par Israël. Le montant de l’aide américaine à l’état hébreu étant de 1,5 milliards de dollars annuel. Israël prive donc l’Iran d’un marché de plusieurs milliards de dollars qui constitue sa troisième source de revenus après les tapis et le pétrole qui restent en tête.
Le marché iranien de la pistache qui voit également ses importations diminuer en Europe à cause des règles imposées par Bruxelles et l’ONU, peut tout de même espérer une hausse de ses ventes avec de nouveaux marchés comme la Chine et l’Inde.

Arthur Liger

Source:
http://faostat.fao.org
http://www.lepoint.fr/science/la-guerre-de-la-pistache-05-08-2010-1224434_25.php
http://www.iran-resist.org/article4559
http://www.jeuneafrique.com/Article/LIN02127liranehcats0/...
http://www.rfi.fr/actufr/articles/010/article_3956.asp

EU-Kommissare kassieren doppelt

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Ex: http://www.ftd.de/politik/europa/:uebergangsgeld-eu-kommissare-kassieren-doppelt/50173338.html

EU-Kommissare kassieren doppelt

Exklusiv - Die Brüsseler Kommission gerät wegen fragwürdiger Zahlungen an
Altkommissare unter Beschuss. Nach FTD-Recherchen beziehen 17 frühere
Amtsträger noch immer Übergangsgelder von mindestens 96.000 Euro pro Jahr -
obwohl viele längst Posten als Lobbyisten oder Politiker haben. von Claus
Hecking  Straßburg

Prominenter Doppelverdiener ist etwa der frühere Binnenmarktchef Charlie
McCreevy . Der Ire wechselte kurz nach seinem Abschied in den Aufsichtsrat
von Ryanair  - und verdient dort nach Berechnungen der
Anti-Lobby-Vereinigung Alter-EU bis zu 47.000 Euro pro Jahr. Hinzu kommt ein
Übergangsgehalt, das nach FTD-Berechnungen rund 11.000 Euro monatlich
beträgt. Auch der frühere Fischereikommissar Joe Borg, der sich bei der
Brüsseler Lobbyagentur Fipra verdingt hat, kassiert diese Summe. Borg räumte
dies ein. McCreevy reagierte nicht auf wiederholte Anfragen. Er steht aber
auf der Übergangsgehaltsliste der Kommission, die der FTD vorliegt.

Drei Jahre Anspruch

Für die Brüsseler Behörde ist das Thema höchst sensibel. Seit Langem
beklagen Nichtregierungsorganisationen die Gefahr massiver
Interessenkonflikte, wenn Kommissare direkt nach Amtsende in die Wirtschaft
wechseln. Dass Ex-Kommissare auch im neuen Job noch Übergangsgeld kassieren,
war bisher allerdings unbekannt.

Drei Jahre lang haben ausgeschiedene Kommissare Anspruch auf 40 bis 65
Prozent ihres Grundgehalts von mindestens 20.278 Euro pro Monat, insgesamt
also wenigstens 280.000 Euro. "Dies soll früheren Kommissaren beim Übergang
in den Arbeitsmarkt helfen", sagte ein Sprecher der Behörde. EU-Kritiker
sind entsetzt. "Das ist eine Bankrotterklärung für das Übergangsgeldsystem",
sagte der fraktionslose EU-Parlamentarier Martin Ehrenhauser. Schließlich
sollten diese Zahlungen ursprünglich Amtsträgern eine Abkühlungsphase ohne
Job ermöglichen, um Distanz zum alten Posten zu bekommen. Zuletzt sorgte
etwa der Deutsche Günter Verheugen für Wirbel, als er sechs Monate nach
seinem Abschied aus Brüssel eine Lobbyagentur gründete.

EU-Parlamentarier empört

Während sich Verheugen mit einer Pension begnügt, bessern Litauens
Staatspräsidentin Dalia Grybauskaite und Italiens Außenminister Franco
Frattini laut Liste ihr Salär mit dem Abschiedsgeld auf. Besonders kritisch
sind Zahlungen an Danuta Hübner und Louis Michel: Sie arbeiten heute als
EU-Abgeordnete und haben damit laut Statut womöglich ihren Anspruch auf
Übergangsgeld verloren. Hübner ließ ausrichten, jedem Ex-Kommissar stehe das
Geld zu. Der juristische Dienst der Kommission hat beide Fälle für
einwandfrei befunden.

"Wenn Europa einmal schiefgeht, werden solche Dinge eine Rolle spielen",
sagte die CDU-Abgeordnete Ingeborg Grässle. Sie will kommende Woche im
Haushaltskontrollausschuss des EU-Parlaments beantragen, das Gehaltsbudget
für die Kommissare für 2011 einzufrieren, bis sich das Übergangsgeldsystem
ändert.


Saudi-Arabien will Atomsprengköpfe aus Pakistan abziehen

Saudi-Arabien will Atomsprengköpfe aus Pakistan abziehen

Udo Ulfkotte

 

Weil weder Israel noch die Vereinigten Staaten die Fortführung des iranischen Atomwaffenprogramms mit einem Militärschlag verhindert haben, will Saudi-Arabien nun seine Atomsprengköpfe aus Pakistan abziehen. Die Saudis haben auf dem südlich von Riad gelegenen geheimen unterirdischen Militärgelände von al-Sulaiyil alles für die Überführung ihrer Atomsprengköpfe vorbereiten lassen. Dort gibt es Tunnel für pakistanische Ghauri-II-Raketen, die eine Reichweite von 2.300 Kilometern haben. Saudi-Arabien ist seit vielen Jahren schon militärische Nuklearmacht, hatte die eigenen Waffen aber geschickt in Pakistan gelagert. So konnte man behaupten, nicht zu den Atomwaffenstaaten zu gehören.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/udo...

 

 

Le langage agressif d'un ambassadeur américain à l'égard de la France

Le langage agressif d’un ambassadeur américain à l’égard de la France

18 janvier, 2011 - Ex: http://www.knowckers.org/ 

Les États-Unis commencent à manifester une certaine nervosité à l’égard de la position européenne sur les Organismes Génétiquement Modifiés. Dans un télégramme daté du 19 décembre 2007 destiné au Département d’Etat à Washington, Craig Stapleton, ambassadeur américain à Paris, évoque la position française sur les Organismes Génétiquement Modifiés dans le cadre des discussions sur le Grenelle de l’environnement Grenelle qui venait de s’achever. Le Canard Enchaîné a sorti l’affaire le 12 janvier 2011, d’après les fuites organisées par Wikileaks.


Plusieurs éléments ressortent de l’analyse de ce télégramme diplomatique américain.


Selon Craig Stapleton, la France joue  avec l’Italie, l’Autriche et même la Commission, un rôle majeur dans la campagne anti OGM en Europe. Un des résultats concrets du Grenelle de l’environnement est l’interdiction du MON-810 (seul OGM autorisé en France). Cette décision serait vécue comme une catastrophe pour les intérêts de la firme multinationale nord-américaine Monsanto. Pour ne pas en rester là, l’ambassadeur américain suggère de frapper l’Union Européenne en se concentrant principalement sur les leaders du mouvement (c’est à dire la France).


Les mots de l’ambassadeur sont sans nuances : causer des dommages à travers toute l’Europe puisqu’il s’agit d’une responsabilité collective, mais en se focalisant sur les coupables. Les attaques contre l’UE doivent être menées de manière discrètes (on pense à des opérations d’information et d’influence). La liste des représailles doit être graduée  et avoir des effets durables à long terme. Cette idée d’attaquer la France et l’Union Européenne aurait été soufflée par un syndicat agricole français. Et l’ambassadeur de rajouter : en fait, les partisans des biotechnologies en France (incluant jusqu’à un syndicat agricole) nous ont dit que la seule solution pour faire changer d’avis la France était de déclencher des représailles.


Cette fuite est révélatrice du climat de tension concurrentielle qui règne autour de la commercialisation mondiale et des OGM et de la pénétration de ces produits sur le marché européen. Elle met en évidence les contradictions d’une partie des acteurs économiques français de ce secteur qui ne savent plus à quel saint se vouer pour entre r eux aussi sur ce marché porteur. Il est clair que l’absence de stratégie de puissance de la France sur cet enjeu abordé principalement par le politique sous l’angle du principe de précaution  facilite toutes les manœuvres des puissances concurrentes qui cherchent à appuyer l’action de leurs entreprises.

lundi, 24 janvier 2011

Krantenkoppen - Januari 2011/09

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Krantenkoppen
 
Januari 2011 - 09
 
PVV: pedo's levenslang volgen
De PVV wil dat veroordeelde pedofielen nooit meer helemaal vrij kunnen zijn. Kamerlid Lilian Helder wil dat staatssecretaris Teeven (Veiligheid en Justitie, VVD) uitbehandelde pedo's door een netwerk van vrijwilligers en deskundigen in de gaten worden gehouden, zo schrijft De Telegraaf vandaag.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/crime/2011/01/pvv_pedo...
 
Berlijnse moskeepyromaan gepakt
De Berlijnse politie heeft een 30-jarige man opgepakt die wordt verdacht van betrokkenheid bij de brandstichtingen bij verschillende moskeeën in de stad. Dat meldde de krant Berliner Morgenpost vrijdag op zijn website. De luciferverslaafde zou een bekentenis hebben afgelegd.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/crime/2011/01/berlijns...
 
Roemer boos op PVV
SP-leider Emile Roemer vindt het schandalig dat de PVV blijft eisen dat het 14-jarige Afghaanse meisje Sahar toch wordt teruggestuurd naar Afghanistan.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/binnenland/2011/01/roe...
 
PVV Limburg heeft last van neptwitteraars
De PVV in Limburg wil dat er een eind komt aan het getwitter van @pvvzuidlimburg. Het account is niet van de PVV, maar stuurt wel berichtjes rond waar de PVV niet blij mee is, zei Laurence Stassen van de PVV Limburg zaterdag. Zij is lijsttrekker bij de Provinciale Statenverkiezingen voor haar partij.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/binnenland/2011/01/ook...
 
'Halal en zuurvlees gaan prima samen'
'Geen halal maar zuurvlees' is één van de slogans van de PVV Limburg bij de presentatie van hun kandidaten voor de Provinciale Statenverkiezingen. De slogan moet onderstrepen dat de PVV de Limburgse identiteit heel belangrijk vindt.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/binnenland/2011/01/hal...
 
'Hulpkonvooien aanvallen mag'
Israël heeft geen internationale wetten overtreden bij de aanval op een internationaal hulpkonvooi dat in mei op weg was naar de Gazastrook. Ook de zeeblokkade van het door Palestijnen bewoonde gebied is legaal. Dat heeft een Israëlische onderzoekscommissie geconcludeerd.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/hul...
 
Moslims weer boos op paus
Een prestigieuze islamitische instelling wil voorlopig niet meer met het Vaticaan praten. Al-Azhar hekelt de "herhaalde aanvallen" van de paus op de religie van de vrede, zo heeft het Egyptische staatspersbureau MENA bekend gemaakt.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/mos...
 
Politicus scheert baard af
Een Belgische parlementariër heeft zijn karakteristieke baard afgeschoren omdat hij niet wil worden verward met deelnemers aan een ludieke actie. Gerolf Annemans van Vlaams Belang (VB) wil niet dat mensen denken dat hij meedoet met de groep mannen die hun baard laten groeien tot er een nieuwe regering is.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/pol...
 
PVV wil helft Nuon-geld aan burgers schenken
De PVV in Gelderland wil zeker de helft van de ruim 4 miljard euro die de provincie verdiende door de verkoop van energiebedrijf Nuon overmaken op de bankrekeningen van de Gelderse burgers.
http://www.gelderlander.nl/voorpagina/arnhem/8011310/PVV-...
 
Belgen protesteren tegen politieke impasse
In Brussel werd vandaag betoogd tegen de politieke impasse in België. Na zeven maanden heeft het land nog steeds geen nieuwe regering en het ziet er niet naar uit dat er snel één komt.
http://nos.nl/artikel/213633-belgen-protesteren-tegen-pol...
 
„Palestijnse beweging pleegde aanslag Egypte”
Egypte verdenkt een Palestijnse groepering van de aanslag op een christelijke kerk in de stad Alexandrië, waardoor 23 mensen om het leven kwamen. Dat meldde de Egyptische minister van Binnenlandse Zaken Habib al-Adly zondag.
http://www.refdag.nl/nieuws/buitenland/palestijnse_bewegi...
 
„België moet voorbeeld nemen aan Zuid-Sudan”
Belgische politici moeten een voorbeeld nemen aan het Afrikaanse Sudan, waar het zuiden zich succesvol afsplitste van het noorden. Dat stelde voorzitter Bruno Valkeniers van de separatistische partij Vlaams Belang zaterdag tijdens zijn nieuwjaarstoespraak.
http://www.refdag.nl/nieuws/buitenland/belgie_moet_voorbe...
 
Verenigd Rusland peilt steun begrafenis Lenin
De pro-Kremlinpartij Verenigd Rusland heeft zaterdag een website gelanceerd om te peilen of de voormalige Sovjetleider Vladimir Lenin alsnog begraven moet worden. Zijn stoffelijk overschot werd tegen de wil van hem en zijn familie in gebalsemd en in een speciaal voor hem gebouwd mausoleum geplaatst op het Rode Plein in Moskou.
http://www.bnr.nl/artikel/21264165/verenigd-rusland-peilt...

België? Dat is het arme broertje van Nederland, toch?

belgiqueMP.jpgBelgië? Dat is het arme broertje van Nederland, toch?

Reportage Stijn Demeester, Londen

Ligt de Londense City wakker van de problemen van de nv België? Lopen de vermaledijde speculanten zich warm voor een aanval op de Belgische
staatsschuld? De Tijd ging op onderzoek in de Londense marktenzalen. 'Wat ik
denk over België? Dat is het grijze land van frieten, bier en mosselen, toch? Een beetje het arme broertje van Nederland, of niet?'

Een van de redenen dat Europa nu in de problemen zit, is omdat politici de schuld steeds op de speculanten steken.

Woensdag 12 januari. Een druilerige ochtend in de Londense City. Het
legertje traders, analisten, zakenbankiers en portfoliomanagers trekt zich jachtig op gang. Terwijl de Belgische kranten bol staan van de politieke malaise en de onrust op de financiële markten, is het business as usual in Londen. Het belangrijkste financiële centrum van de wereld lijkt niet echt wakker te liggen van het politieke gekrakeel in Brussel.

'Men weet hier wel dat er in België problemen zijn tussen de Walen en de
Vlamingen, maar echt diep gaat de kennis over ons land niet', zegt Kenneth
Broux, een Belg die werkt bij Lloyds Bank Corporate Markets. Vermoeit Broux
zich nog met het uitleggen van het Belgische politieke status-quo? 'Dat doe
ik al lang niet meer', lacht hij. 'Hier kijkt men vooral naar de G10 en de
emerging markets, de Belgische problemen zijn echt verwaarloosbaar.'

Charlie Diebel lacht smakelijk als ik hem de bier-en-frietenvergelijking van
een Londense trader voorleg. Diebel is hoofd marktstrategie bij Lloyds Bank
en verrassend goed op de hoogte van de 'Belgische situatie'. 'Ik heb altijd
met bijzondere aandacht naar jullie land gekeken. De Belgische
sentimentsindicatoren zijn meestal een kanarie in de koolmijn voor de rest
van Europa. Normaal gezien zou er geen haan naar jullie landje kraaien',
zegt hij. 'Er is natuurlijk het feit dat jullie nog steeds geen regering
hebben. In het begin van de crisis passeerde België geruisloos onder de
radar. In een wereld die netjes op orde is, is het geen ramp dat er geen
regering is. Maar als de crisis één ding duidelijk heeft gemaakt, is het dat
krediet belangrijk is. 'Credit matters.' Of het nu om een bank of een
overheid gaat.'

PIG?

'We zitten in een klimaat waar de markten op zoek gaan naar zwakheden',
vervolgt Diebel. 'Heeft België fundamentele economische problemen? Nee.
Dreigt België een van de PIGS te worden? Bijlange niet. Maar jullie hebben
zelfs geen begin van een plan om die gigantische schuldenberg weg te werken.
Dat wordt vandaag de dag opgepikt door de markten. Eerst hebben ze
Griekenland en Ierland aangepakt. Nu krabben ze aan Portugal en Spanje. En
ook België wordt besnuffeld. De 'bond market vigilantes', de burgerwachten
van de obligatiemarkt, zijn terug van weggeweest. En maar goed ook.'

Grant Lewis valt net niet van zijn stoel wanneer ik hem een aantal Belgische
krantenkoppen voorleg. Lewis is hoofd research bij de Londense afdeling van
het beurshuis Daiwa Capital Markets. 'Speculanten voeren druk op'? 'Gieren
boven België'? Zulke koppen vind ik heel kwalijk en typisch voor hoe
continentaal Europa tegen de dingen aankijkt. Een van de redenen waarom
Europa nu in de problemen zit, is omdat politici de schuld steeds
afgeschoven hebben op 'de speculanten' in plaats van de problemen ten gronde
aan te pakken. Beleggers hebben altijd de keuze. Als ze zich niet meer
comfortabel voelen bij een verhoogd risico, kunnen ze altijd verkiezen te
verkopen. En dat is wat nu gebeurt.'

Ook Diebel lacht de speculantenhypothese weg. 'Obligatiemarkten zijn veel te
saai voor speculanten! Vergeet niet dat het overgrote deel van de
overheidsschuld in handen is van pensioenfondsen en
verzekeringsmaatschappijen. Die houden zich niet bezig met speculatie. Dat
de rente nu stijgt, is een duidelijk signaal dat die partijen zich niet meer
kunnen vinden in overheidspapier waar een geurtje aan hangt.'

'Traditioneel zijn de Belgische verzekeraars de kopers van Belgisch
overheidspapier', zegt Jonathon Jackson, directeur van de bond sales desk
bij Daiwa en hoofdzakelijk actief in de Benelux. 'Vroeger kochten ze in
Belgische frank om het wisselkoersrisico te vermijden. 80 tot 90 procent van
de portefeuilles bestond toen uit Belgisch staatspapier.'

'Maar met de komst van de euro is het belang van Belgisch papier
teruggevallen tot 40 à 50 procent. Op termijn kan dat belang nog verder
dalen. De recente rentepiek heeft dus niets met speculatie te maken, maar
alles met een herallocatie van middelen. De verzekeraars, zogezegd de
'buyers of last resort' voor Belgisch overheidspapier, zijn veel minder
actief.'

Lewis: 'Bovendien heb je de buitenlandse grote beleggers die denken: 'Dat
kleine landje met tien miljoen inwoners? Waarom zou ik me moe maken om
daarvan de details te leren kennen? Duitsland, daar wil ik nog moeite voor
doen.' Maar België verkopen is niet zo'n moeilijke beslissing. Dat is het
perspectief van de grote belegger.'

Wat doet beleggers dan het vertrouwen verliezen in de nv België? 'It's
politics', zegt Jackson. 'Ik heb lang in Brussel gewerkt, ik ben vertrouwd
met de Belgische machinaties, de talloze regeringen, de
wafelijzerpolitiek,... Maar dat krijg je hier moeilijk uitgelegd. Weet je,
ik was onlangs in Luik, in dat machtige treinstation dat even goed in Abu
Dhabi zou kunnen staan. Ik schamperde: 'Wie heeft hiervoor betaald? Europa
zeker?' Maar dat station is gewoon een voorbeeld van de Belgische
wafelijzerpolitiek.'

Microkosmos

De schrijver Ian Buruma noemde België in The New Yorker een testcase voor
Europa. Net zoals Duitsland mort omdat het moet opdraaien voor 'lakse'
lidstaten zoals Griekenland of Portugal, wil Vlaanderen niet langer betalen
voor Wallonië. 'België een microkosmos voor Europa? Zo had ik het nog niet
gezien', zegt Diebel. 'Maar de oplossing voor Europa ligt in meer
harmonisatie, terwijl België lijkt af te stevenen op een splitsing. Nu, een
splitsing hoeft geen ramp te zijn', vervolgt Diebel. 'Indien beide nieuwe
staten, Vlaanderen en Wallonië, in de muntunie kunnen blijven, verschillen
ze niet zoveel van zeg maar Litouwen of Estland.'

Bij Daiwa ziet men een splitsing minder zitten. 'Ik weet wel dat sommigen
zeggen dat het jullie nationale sport is om belastingen te ontduiken', zegt
Jackson. 'Maar in werkelijkheid staat België hier bekend als een staat die
zeer goed belastingen kan heffen. Voor België zou het het worstcasescenario
zijn wanneer die haast bureaucratische mogelijkheid om de staat te beheren
zou wegvallen.'

Is België de practical joke van Europa geworden? 'België heeft het Europese
spel van bij het verdrag van Rome volgens de regels gespeeld', zegt Jackson.
'Dat heeft jullie land steeds een bepaald sérieux gegeven. Een grap zijn
jullie niet, maar we kijken wel met ontzetting naar jullie geruzie.'

Business as usual in de City. Het belangrijkste financiële centrum van de
wereld lijkt niet echt wakker te liggen van het politieke gekrakeel in
Brussel. © Timothy Foster

© 2011 Mediafin
Publicatie:     De Tijd
Publicatiedatum:     15 januari 2011
Auteur:     Stijn Demeester;

Erst Glasnost, dann Perestroika - Sarrazins nächstes Buch

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Erst Glasnost, dann Perestroika – Sarrazins nächstes Buch

Götz KUBITSCHEK

Ex.: http://www.sezession.de/

Als Thilo Sarrazin am vergangenen Donnerstag in Dresden vor 2500 Hörern vortrug, deutete er an, daß er ein neues Buch plane. Es werde die Meinungsfreiheit zum Thema haben, und überhaupt sei seine Aufgabe die Herbeiführung von Glasnost und Perestroika in Deutschland.

Ich habe diese Äußerungen gut nutzen können für meine grundsätzliche Situationsanalyse des „Falls Sarrazin“ bei der gestrigen Podiumsdiskussion in München.

Glasnost ist mit „Transparenz“, Perestroika mit „Umgestaltung“ oder „Reform“ ganz gut übersetzt. Der Journalist Alexander Kissler, der mit mir auf dem Podium saß, hat zurecht gesagt, daß ihn die Unbescheidenheit Sarrazins doch verblüffe: Schließlich handelte es sich bei diesen beiden Wörtern um welthistorische Begriffe, um zunächst systemstützende Reformvokabeln, die letztlich eine revolutionäre, systemstürzende Dynamik ausgelöst hätten. Er sehe zum einen nicht, woran Sarrazin eine ähnliche Wirkung seines Buches ablesen wolle; und zum anderen hoffe er sehr, daß eine systemstürzende Dynamik diesmal ausbleibe. Er käme ganz gut noch viele Jahre mit der in keiner Weise totalitären Bundesrepublik zurecht.

Ich meine (und sagte das gestern auch), daß wir die Wirkung von Deutschland schafft sich ab noch nicht abschätzen können, und ich halte Spekulationen und Prognosen über das, was stehen und was stürzen wird, für interessant, aber nicht vor vordringlich. Wichtig ist derzeit doch etwas anderes: Sarrazin hat in den vergangenen Monaten festgestellt, daß er den zweiten Schritt vor dem ersten gemacht hat, oder, um es mit den beiden welthistorischen Begriffen zu sagen: Er hat Glasnost (Transparenz) als etwas der Demokratie Innewohnendes ganz selbstverständlich vorausgesetzt und wollte gleich zur Perestroika (Umgestaltung, Reform) übergehen.

Mittlerweile hat er erlebt und begriffen, daß er in Deutschland mitnichten das Selbstverständliche voraussetzen kann. Er ist nur knapp und aufgrund einer Mischung zuträglicher Umstände dem Schicksal der politischen und sozialen Abdrängung in die Nische derjenigen entgangen, die  anscheinend „wenig hilfreichen“ für diese Gesellschaft sind. Er hat die Hintergründe für diesen Versuch einer innerstaatlichen Abschiebung genau studiert und die Analysen gelesen, mit denen Kommunikationswissenschaftler wie Hans Mathias Kepplinger ihm in derselben nüchternen Art zur Seite traten, die ihn selbst auszeichnet.

Wer nachlesen möchte, wie weit Sarrazins Desillusionierung fortgeschritten ist, muß seinen vorweihnachtlichen Beitrag für die FAZ lesen. Er macht darin aus seiner Verachtung für die politische Klasse keine Hehl, und wer dabei im Hinterkopf behält, daß Sarrazin an seinem nächsten Buch arbeitet, kann den Artikel wie ein Exposé, wie eine Grobgliederung studieren.

Sarrazin wird also wohl über die Meinungsfreiheit schreiben. Er hat das bis vor kurzem nicht für notwendig gehalten, aber mittlerweile weiß er, daß es nicht reicht, auf das grundgesetzlich garantierte Recht auf freie Meinungsäußerung zu pochen. Er wird sich längst in die Schweigespirale von Elisabeth Noelle-Neumann ebenso eingearbeitet haben wie in den Strukturwandel der Öffentlichkeit von Jürgen Habermas.

Die Demoskopin Noelle-Neumann spricht in der Schweigespirale von einem „doppelten Meinungsklima“ und bezeichnet damit das Auseinanderklaffen der Ansichten tonangebender Kreise auf der einen und einer mit demoskopischem Instrumentarium erfaßbaren, nicht öffentlich artikulierten Mehrheitsmeinung auf der anderen Seite. Ihr Buch ist ein Standardwerk.

Ebenso als Standardwerk gilt Strukturwandel der Öffentlichkeit. Karlheinz Weißmann hat in seinem Beitrag für unser Sonderheft Sarrazin lesen darauf hingewiesen, daß Habermas die Demoskopie stets als Feindwissenschaft begriffen habe. Dennoch sei dessen abstraktem Buch die nützliche Unterscheidung dreier Meinungsformen zu entnehmen: Die nicht-öffentliche (Privat-)Meinung ist leicht zu unterscheiden von der öffentlichen Meinung im eigentlichen Sinne. Hinzu kommt jedoch die dritte, schwerer erkennbare Form – die „quasi-öffentliche Meinung“. Sie ist in etwa das, was der bereits erwähnte Hans Mathias Kepplinger in einem Aufsatz über die gescheiterte Skandalisierung Sarrazins so ausdrückt:

In modernen, liberalen Demokratien gehen die Gefahren für die Meinungsfreiheit nicht nur von der Politik aus, sondern auch von den Medien. Die Gründe hierfür liegen vor allem in den Meinungen im Journalismus, die erheblich von jenen in der Bevölkerung abweichen, gegen die sie sich normalerweise effektiv in Szene setzen; in der wechselseitigen Orientierung der Journalisten aneinander und den damit einhergehenden Selbstgewißheiten der Meinungsführer.

Die „quasi-öffentliche Meinung“ gefährdet also die Meinungsfreiheit, weil es sich (diesmal in den Worten von Habermas) um Meinungen handelt,

die in einem verhältnismäßig engen Kreislauf über die Masse der Bevölkerung hinweg zwischen der großen politischen Presse, der räsonierenden Publizistik überhaupt, und den beratenden, beeinflussenden, beschließenden Organen mit politischen oder politisch relevanten Kompetenzen zirkulieren.

Was beutet Glasnost vor solchen ziemlich simplen, ziemlich offenkundigen Mechanismen der Meinungsbesetzung, Deutungsverteidigung und Debattenverhinderung? Glasnost bedeutet, diese Vorgänge transparent zu machen, und zwar auf eine so machtvolle Weise, daß diejenigen, die die trüben Scheiben polieren, nicht als „Quartalsirre“ oder paranoide Verschwörungstheoretiker stigmatisiert und ins Abseits geschoben werden können.

Für die Veranstaltung, die wir gestern im Gasteig in München – also an zentralem, öffentlichem Ort – über Sarrazin abhielten, hatten wir rund zehn mögliche linke oder eher linke Podiumsteilnehmer um Teilnahme angefragt. Keiner sagte zu. Ich bin überzeugt, daß die Absagen aus zweierlei Gründen erfolgten: Zum einen hält man das Schneiden, Abdrängen und Beschweigen unserer Positionen noch immer für die beste Methode der jahrelang wie geschmiert laufenden Verteidigung des linken Selbstbildes; zum andern – und das wiegt schwerer – wissen die möglichen Kontrahenten, daß sie auf einem Feld anzutreten hätten, auf dem wir jedes Argument kennen und auf dem Sarrazin tatsächlich den finalen Beweis dafür erbracht hat, daß unsere Bestandsaufnahmen stimmen: Debattenverhinderung ist nichts anderes als die fortgesetzte „Verschleierung eigener Fehler und Versäumnisse“ (abermals Kepplinger).

Im Aprilheft der Sezession vom vergangenen Jahr habe ich einen Briefwechsel abgedruckt, den ich mit dem Schriftsteller Richard Wagner führte. In diesem Briefwechsel ist die Problematik der Meinungsfreiheit in Deutschland ausgeführt und mit Schlüsselbegriffen abgesteckt. Von dem Briefwechsel ist hier ein Teil nachzulesen, die Druckausgabe (Heft 35) mit dem vollständigen Text ist hier verfügbar. Wir sandten das Heft Thilo Sarrazin seinerzeit zu, weil auch über ihn ein Beitrag darin handelte („Sarrazin und seine Gegner“). Er bedankte sich und schrieb, daß er aus dem Briefwechsel mit Richard Wagner Aufschlußreiches über ein wichtiges Thema gelesen habe.

Es scheint, als würde dieses Thema nun zu seinem Thema, weil vor der Perestroika zunächst Glasnost von Nöten ist.

dimanche, 23 janvier 2011

LEAP-2011: l'année impitoyable, à la croisée des trois chemins du chaos mondial

LEAP - 2011 : l'année impitoyable, à la croisée des trois chemins du chaos mondial

Communiqué public du Laboratoire Européen d’Anticipation Politique (LEAP), du 15 janvier 2011

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Ce numéro (…) marque le cinquième anniversaire de la publication du Global Europe Anticipation Bulletin. Or, en janvier 2006, à l’occasion du numéro 1, l’équipe du LEAP indiquait à l’époque qu’une période de quatre à sept ans s’ouvrait, qui serait caractérisée par la « Chute du Mur Dollar », phénomène analogue à celui de la chute du Mur de Berlin qui entraîna, dans les années suivantes, l’effondrement du bloc communiste, puis celui de l’URSS.

Aujourd’hui, dans ce [numéro] qui présente nos trente-deux anticipations pour l’année 2011, nous estimons que l’année à venir sera une année charnière dans ce processus s’étalant donc entre 2010 et 2013. Elle sera, en tout état de cause, une année impitoyable, car elle va en effet marquer l’entrée dans la phase terminale du monde d’avant la crise (1).

Depuis septembre 2008, moment où l’évidence de la nature globale et systémique de la crise s’est imposée à tous, les Etats-Unis et, derrière eux, les pays occidentaux, se sont contentés de mesures palliatives, qui n’ont fait que masquer les effets de sape de la crise sur les fondements du système international contemporain. 2011 va, selon notre équipe, marquer le moment crucial où, d’une part, ces mesures palliatives voient leur effet anesthésiant s’évanouir tandis que, au contraire, vont brutalement surgir au premier plan les conséquences de la dislocation systémique de ces dernières années (2).

En résumé, 2011 va être marquée par une série de chocs violents, qui vont faire exploser les fausses protections mises en place depuis 2008 (3) et qui vont emporter un à un les « piliers » sur lesquels repose depuis des décennies le « Mur Dollar ».

 

Seuls les pays, collectivités, organisations et individus qui ont réellement entrepris, depuis trois ans, de tirer les leçons de la crise en cours pour s’éloigner au plus vite des modèles, valeurs et comportements d’avant la crise, traverseront cette année indemnes ; les autres vont être emportés dans le cortège de difficultés monétaires, financières, économiques, sociales et politiques, que réserve 2011.

Ainsi, comme nous considérons que 2011 sera globalement l’année la plus chaotique depuis 2006, date du début de nos travaux sur la crise, notre équipe s’est concentrée, dans [ce numéro], sur les 32 anticipations de l’année 2011, qui comportent également nombre de recommandations pour faire face aux chocs à venir. C’est ainsi une sorte de carte prévisionnelle des chocs financiers, monétaires, politiques, économiques et sociaux des douze prochains mois, qu’offre ce numéro (…).

Si notre équipe estime que 2011 sera l’année la plus terrible depuis 2006, date du début de notre travail d’anticipation de la crise systémique, c’est parce qu’elle est à la croisée des trois chemins du chaos mondial. Faute de traitement de fond des causes de la crise, depuis 2008, le monde n’a fait que reculer pour mieux sauter.

Un système international exsangue

Le premier chemin que la crise peut prendre pour générer un chaos mondial, c’est tout simplement un choc violent et imprévisible. L’état de délabrement du système international est désormais tellement avancé que sa cohésion est à la merci de toute catastrophe d’envergure (4).

Il suffit de voir l’incapacité de la communauté internationale à efficacement aider Haïti depuis un an (5), des Etats-Unis à reconstruire la Nouvelle Orléans depuis six ans, de l’ONU à régler les problèmes du Darfour, de la Côte d’Ivoire depuis une décennie, des Etats-Unis à faire avancer la paix au Proche-Orient, de l’OTAN à battre les Talibans en Afghanistan, du Conseil de Sécurité à maîtriser les questions coréenne et iranienne, de l’Occident à stabiliser le Liban, du G20 à mettre fin à la crise mondiale, qu’elle soit financière, alimentaire, économique, sociale, monétaire… pour constater que, sur l’ensemble de la palette des catastrophes climatiques et humanitaires, comme des crises économiques et sociales, le système international est désormais impuissant.

En fait, depuis le milieu des années 2000 au moins, l’ensemble des grands acteurs mondiaux, au premier rang desquels se trouvent, bien entendu, les Etats-Unis et son cortège de pays occidentaux, ne fait plus que de la communication, de la gesticulation.

Dans la réalité, rien ne va plus : la bille des crises tourne et chacun retient son souffle pour qu’elle ne tombe pas sur sa case. Mais, progressivement, la multiplication des risques et des thèmes de crise ont transformé la roulette de casino en roulette russe. Pour le LEAP, le monde entier commence à jouer à la roulette russe (6), ou plutôt à sa version 2011 « la roulette américaine », avec cinq balles dans le barillet.

Evolution mensuelle de l’indice Alimentation de la FAO (2010) et des prix des principales denrées alimentaires, 2009-2010 (base 100 : moyenne 2002-2004) – Source : FAO/Crikey, janvier 2011

L’envolée des prix des matières premières (alimentaires, énergétiques (7)…) doit nous rappeler 2008 (8). C’est en effet dans le semestre précédant l’effondrement de Lehman Brothers et de Wall Street, que s’est situé le précédent épisode de fortes hausses des prix des matières premières. Et les causes actuelles sont de la même nature que celles d’hier : une fuite hors des actifs financiers et monétaires, en faveur de placements « concrets ».

Hier, les gros opérateurs fuyaient les crédits hypothécaires et tout ce qui en dépendait, ainsi que le Dollar US ; aujourd’hui, ils fuient l’ensemble des valeurs financières et les bons du Trésor (9) et autres dettes publiques.

Il faut donc s’attendre, entre le printemps 2011 et l’automne 2011, à l’explosion de la quadruple bulle des bons du Trésor, des dettes publiques (10), des bilans bancaires (11) et de l’immobilier (américain, chinois, britannique, espagnol… et commercial (12) ) ; l’ensemble, se déroulant sur fond de guerre monétaire exacerbée (13).

L’inflation induite par les Quantitative Easing américain, britannique et japonais et les mesures de stimulation des mêmes, des Européens et des Chinois, va être l’un des facteurs déstabilisants de 2011 (14). Nous y revenons plus en détail dans ce [numéro].

Mais ce qui est désormais évident au regard de ce qui se passe en Tunisie (15), c’est que ce contexte mondial, notamment la hausse des prix des denrées et de l’énergie, débouche dorénavant sur des chocs sociaux et politiques radicaux (16). L’autre réalité que dévoile le cas tunisien, c’est l’impuissance des « parrains » français, italien ou américain, pour empêcher l’effondrement d’un « régime-ami » (17).

Impuissance des principaux acteurs géopolitiques mondiaux

Et cette impuissance des principaux acteurs géopolitiques mondiaux, est l’autre chemin que la crise peut utiliser pour générer un chaos mondial en 2011. En effet, on peut classer les principales puissances du G20 en deux groupes, dont le seul point commun est qu’ils ne parviennent pas à influencer les évènements de manière décisive.

D’un côté, on a l’Occident moribond avec, d’une part, les Etats-Unis, dont l’année 2011 va démontrer que le leadership n’est plus qu’une fiction (voir dans ce numéro) et qui tentent de figer tout le système international dans sa configuration du début des années 2000 (18) ; et puis on a l’Euroland, « souverain » en gestation qui est actuellement essentiellement concentré sur son adaptation à son nouvel environnement (19) et son nouveau statut d’entité géopolitique émergente (20), et qui n’a donc ni l’énergie, ni la vision nécessaire pour peser sur les évènements mondiaux (21).

Et de l’autre côté, on trouve les BRIC (avec, en particulier, la Chine et la Russie), qui s’avèrent incapables, pour l’instant, de prendre le contrôle de tout ou partie du système international et dont la seule action se limite donc à saper discrètement ce qui reste des fondements de l’ordre d’avant la crise (22).

En fin de compte, c’est donc l’impuissance qui se généralise (23) au niveau de la communauté internationale, renforçant non seulement le risque de chocs majeurs, mais également l’importance des conséquences de ces chocs. Le monde de 2008 a été pris par surprise par le choc violent de la crise, mais le système international était paradoxalement mieux équipé pour réagir car organisé autour d’un leader incontesté (24).

En 2011, ça n’est plus le cas : non seulement il n’y a plus de leader incontesté, mais le système est exsangue, comme on l’a vu précédemment. Et la situation est encore aggravée par le fait que les sociétés d’un grand nombre de pays de la planète sont au bord de la rupture socio-économique.

Cliquez sur le graphique pour l'agrandir

Evolution du prix de l’essence aux Etats-Unis (2009-2011) – Source : GasBuddy, janvier 2011

Des sociétés au bord de la rupture socio-économique

C’est en particulier le cas aux Etats-Unis et en Europe, où trois ans de crise commencent à peser très lourd dans la balance socio-économique et donc, politique. Les ménages américains, désormais insolvables par dizaines de millions, oscillent entre pauvreté subie (25) et rage anti-système. Les citoyens européens, coincés entre chômage et démantèlement de l’Etat-providence (26), commencent à refuser de payer les additions des crises financières et budgétaires et entreprennent de chercher des coupables (banques, Euro, partis politiques de gouvernement…).

Mais parmi les puissances émergentes aussi, la transition violente que constitue la crise conduit les sociétés vers des situations de rupture : en Chine, la nécessité de maîtriser les bulles financières en développement se heurte au désir d’enrichissement de secteurs entiers de la société, comme au besoin d’emploi de dizaines de millions de travailleurs précaires ; en Russie, la faiblesse du filet social s’accommode mal de l’enrichissement des élites, tout comme en Algérie agitée par des émeutes.

En Turquie, au Brésil, en Inde, partout, la transition rapide que connaissent ces pays déclenche émeutes, protestations, attentats. Pour des raisons parfois antinomiques, développement pour les unes, appauvrissement pour les autres, un peu partout sur la planète, nos différentes sociétés abordent 2011 dans un contexte de fortes tensions, de ruptures socio-économiques, qui en font donc des poudrières politiques.

C’est sa position, à la croisée de ces trois chemins, qui fait ainsi de 2011 une année impitoyable. Et impitoyable, elle le sera pour les Etats (et les collectivités locales) qui ont choisi de ne pas tirer les difficiles leçons des trois années de crise qui ont précédé et/ou qui se sont contentés de changements cosmétiques, ne modifiant en rien leurs déséquilibres fondamentaux.

Elle le sera aussi pour les entreprises (et pour les Etats (27) ) qui ont cru que l’embellie de 2010 était le signe d’un retour « à la normale » de l’économie mondiale.

Et enfin, elle le sera pour les investisseurs qui n’ont pas compris que les valeurs d’hier (titres, monnaies…) ne pouvaient pas être celles de demain (en tout cas, pour plusieurs années).

L’Histoire est généralement « bonne fille ». Elle donne souvent un coup de semonce avant de balayer le passé. Cette fois-ci, elle a donné le coup de semonce en 2008. Nous estimons qu’en 2011, elle donnera le coup de balai. Seuls les acteurs qui ont entrepris, même laborieusement, même partiellement, de s’adapter aux nouvelles conditions générées par la crise, pourront tenir ; pour les autres, le chaos est au bout du chemin.

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Notes :

(1) Ou du monde tel qu’on le connaît depuis 1945, pour reprendre notre description de 2006.

(2) La récente décision du ministère du Travail américain d’étendre à cinq ans la mesure du chômage de longue durée dans les statistiques de l’emploi US, au lieu du maximum de deux ans jusqu’à maintenant, est un bon indicateur de l’entrée dans une étape nouvelle de la crise, une étape qui voit disparaître les « habitudes » du monde d’avant. D’ailleurs, le gouvernement américain cite « la montée sans précédent » du chômage de longue durée, pour justifier cette décision. Source : The Hill, 28 décembre 2010

(3) Ces mesures (monétaires, financières, économiques, budgétaires, stratégiques) sont désormais étroitement connectées. C’est pourquoi, elles seront emportées dans une série de chocs successifs.

(4) Source : The Independent, 13 janvier 2011

(5) C’est même pire, puisque c’est l’aide internationale qui a apporté le choléra dans l’île, faisant des milliers de morts.

(6) D’ailleurs, Timothy Geithner, le ministre américain des Finances, peu connu pour son imagination débordante, vient d’indiquer que « le gouvernement américain pouvait avoir à nouveau à faire des choses exceptionnelles », en référence au plan de sauvetage des banques de 2008. Source : MarketWatch, 13 janvier 2011

(7) D’ailleurs, l’Inde et l’Iran sont en train de préparer un système d’échange « or contre pétrole » pour tenter d’éviter des ruptures d’approvisionnement. Source : Times of India, 08 janvier 2011

(8) L’indice FAO des prix alimentaires vient de dépasser, en janvier 2011 (à 215), son précédent record de mai 2008 (à 214).

(9) Les banques de Wall Street se débarrassent actuellement, à très grande vitesse (sans équivalent depuis 2004), de leurs Bons du Trésor US. Leur explication officielle est « l’amélioration remarquable de l’économie US, qui ne justifie plus de se réfugier sur les Bons du Trésor ». Bien entendu, vous êtes libres de les croire, comme le fait le journaliste de Bloomberg du 10 janvier 2011.

(10) Ainsi, l’Euroland avance déjà à grands pas sur le chemin décrit dans le [précédent numéro], d’une décote en cas de refinancement des dettes d’un Etat-membre ; tandis que, désormais, les dettes japonaise et américaine s’apprêtent à entrer dans la tourmente. Sources : Bloomberg, 07 janvier 2011 ; Telegraph, 05 janvier 2011

(11) Nous estimons que, d’une manière générale, les bilans des grandes banques mondiales contiennent au moins 50% d’actifs-fantômes, dont l’année à venir va imposer une décote de 20% à 40%, du fait du retour de la récession mondiale avec l’austérité, de la montée des défauts sur les prêts des ménages, des entreprises, des collectivités, des Etats, des guerres monétaires et de la reprise de la chute de l’immobilier. Les « stress-tests » américain, européen, chinois, japonais ou autres, peuvent toujours continuer à tenter de rassurer les marchés avec des scénarios « Bisounours », sauf que, cette année, c’est « Alien contre Predator » qui est au programme des banques. Source : Forbes, 12 janvier 2011

(12) Chacun de ces marchés immobiliers va encore fortement baisser en 2011, pour ceux qui ont déjà entamé leur chute ces dernières années ou, dans le cas chinois, va entamer son dégonflement brutal, sur fond de ralentissement économique et de rigueur monétaire.

(13) L’économie japonaise est d’ailleurs l’une des premières victimes de cette guerre des monnaies, avec 76% des chefs d’entreprises des 110 grandes sociétés nippones, sondées par Kyodo News, se déclarant désormais pessimistes pour la croissance japonaise en 2011, suite à la hausse du Yen. Source : JapanTimes, 04 janvier 2011

(14) Voici quelques exemples édifiants, rassemblés par l’excellent John Rubino. Source : DollarCollapse, 08 janvier 2011

(15) Pour rappel, dans le [numéro] du 15 octobre 2010, nous avions classé la Tunisie dans les « pays à risques importants » pour 2011.

(16) Nul doute, d’ailleurs, que l’exemple tunisien génère une salve de réévaluations parmi les agences de notation et les « experts en géopolitique » qui, comme d’habitude, n’ont rien vu venir. Le cas tunisien illustre également le fait que ce sont désormais les pays satellites de l’Occident en général, et des Etats-Unis en particulier, qui sont sur le chemin des chocs de 2011 et des années à venir. Et il confirme ce que nous répétons régulièrement, une crise accélère tous les processus historiques. Le régime Ben Ali, vieux de vingt-trois ans, s’est effondré en quelques semaines. Quand l’obsolescence politique est là, tout bascule vite. Or, c’est l’ensemble des régimes arabes pro-occidentaux qui est désormais obsolète, à l’aune des évènements de Tunisie.

(17) Nul doute que cette paralysie des « parrains occidentaux » va être soigneusement analysée à Rabat, au Caire, à Djeddah et Amman par exemple.

(18) Configuration qui leur était la plus favorable, puisque sans contrepoids à leur influence.

(19) Nous y revenons plus en détail dans ce numéro (…) mais, vu de Chine, on ne s’y trompe pas. Source : Xinhua, 02 janvier 2011

(20) Petit à petit, les Européens découvrent qu’ils sont dépendants d’autres centres de pouvoir que Washington. Pékin, Moscou, Brasilia, New Delhi… entrent très lentement dans le paysage, des partenaires essentiels. Sources : La Tribune, 05 janvier 2011 ; Libération, 24 décembre 2010 ; El Pais, 05 janvier 2011

(21) Toute l’énergie du Japon est concentrée sur sa tentative désespérée de résister à l’attraction chinoise. Quant aux autres pays occidentaux, ils ne sont pas en mesure d’influer significativement sur les tendances mondiales.

(22) La place du Dollar US dans le système mondial, fait partie de ces derniers fondements que les BRIC érodent activement jour après jour.

(23) En matière de déficit, le cas américain est exemplaire. Au-delà du discours, tout continue comme avant la crise, avec un déficit en gonflement exponentiel. Pourtant, même le FMI tire désormais la sonnette d’alarme. Source : Reuters, 08 janvier 2011

(24) D’ailleurs, même le Wall Street Journal du 12 janvier 2011, se faisant l’écho du Forum de Davos, s’inquiète de l’absence de coordination internationale, qui est en soi un risque majeur pour l’économie mondiale.

(25) Des millions d’Américains découvrent les banques alimentaires pour la première fois de leur vie, tandis qu’en Californie, comme dans de nombreux autres Etats, le système éducatif se désagrège rapidement. En Illinois, les études sur le déficit de l’Etat le comparent désormais au Titanic. 2010 bat le record des saisies immobilières. Sources : Alternet, 27 décembre 2010 ; CNN, 08 janvier 2011 ; IGPA-Illinois, janvier 2011 ; LADailyNews, 13 janvier 2011

(26) L’Irlande, qui est face à une reconstruction pure et simple de son économie, est un bon exemple de situations à venir. Mais même l’Allemagne, aux résultats économiques pourtant remarquables actuellement, n’échappe pas à cette évolution, comme le montre la crise du financement des activités culturelles. Tandis qu’au Royaume-Uni, des millions de retraités voient leurs revenus amputés pour la troisième année consécutive. Sources : Irish Times, 31 décembre 2010 ; Deutsche Welle, 03 janvier 2011 ; Telegraph, 13 janvier 2011

(27) A ce sujet, les dirigeants américains confirment qu’ils foncent tout droit dans le mur des dettes publiques, faute d’anticiper les difficultés. En effet, la récente déclaration de Ben Bernanke, le patron de la Fed, dans laquelle il affirme que la Fed n’aidera pas les Etats (30% de baisse des revenus fiscaux en 2009, d’après le Washington Post du 05 janvier 2011) et les villes qui croulent sous les dettes, tout comme la décision du Congrès d’arrêter l’émission des « Build American Bonds » qui ont évité aux Etats de faire faillite ces deux dernières années, illustrent un aveuglement de Washington qui n’a d’équivalent que celui dont Washington a fait preuve en 2007/2008, face à la montée des conséquences de la crise des « subprimes ». Sources : Bloomberg, 07 janvier 2011 ; WashingtonBlog, 13 janvier 2011

Laboratoire Européen d’Anticipation Politique

samedi, 22 janvier 2011

Vaarwel Amerika !

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Wereldorde -  De zon komt op in het Oosten

Vaarwel Amerika

Door: Marcel Hulspas & Jan-Hein Strop

Ex: http://www.depers.nl/

Zestig jaar lang was Europa militair en economisch nauw verbonden met de Verenigde Staten. Die verbintenis heeft haar tijd gehad. Europa moet de VS loslaten. Het liefst zo snel mogelijk.

Toen Winston Churchill in 1941 de Amerikaanse president Roosevelt ontmoette, om Amerikaanse steun te vragen in de strijd tegen Hitler-Duitsland, zou hij tegen Roosevelt hebben gezegd: ‘Give us the tools and we’ll finish the job.’ En dat is wat Roosevelt deed. Washington redde het failliete Groot-Brittannië en de VS werden ‘het arsenaal van de democratie’. Direct na de oorlog vormde het Amerikaanse leger de enige garantie tegen een Russische bezetting, en dankzij de miljarden dollars uit het Marshallplan kon West-Europa zich daarna economisch herstellen. Europa is de VS buitengewoon veel verschuldigd.

Maar nu, zestig jaar later, wordt het hoog tijd dat Europa de Verenigde Staten vaarwel zegt. Dat we de blik niet langer westwaarts richten, maar oostwaarts. De VS kampen met ernstige problemen, in binnen- en buitenland, in de economie én in de politiek. De American Century loopt ten einde. En als Europa wil overleven, moet het de banden snel verbreken, of in ieder geval veel losser maken.

Amerika’s grootste probleem is een intern probleem. Het alom geroemde regeringssysteem functioneert al geruime tijd niet meer. De volstrekt vergiftigde partijpolitieke tegenstellingen zorgen ervoor dat het Congres en het Witte Huis elkaar al zo’n twintig jaar voor de voeten lopen, en niet in staat zijn om hoogst noodzakelijke wetgeving door te voeren. Het landsbestuur gaat kapot aan partijpolitieke tegenstellingen.

Onoplosbaar probleem nummer één is het begrotingstekort van 1.300 miljard dollar, waardoor de staatsschuld in moordend tempo toeneemt. Minister Clinton van Buitenlandse Zaken bestempelde het begrotingsprobleem als ‘de grootste bedreiging voor de nationale veiligheid’, maar een weg uit het financiële moeras is verder weg dan ooit.

Keihard bezuinigen: not

Waar landen als Ierland, Griekenland en Portugal in staat zijn tot rigoureuze bezuinigingen, tegen alle publieke verontwaardiging in, staat het machtigste land ter wereld machteloos. De Congressional Budget Office voorspelt dat de rentelasten, bij voortzetting van het huidige beleid, tot 2020 zullen verdriedubbelen. De renteafdracht, als percentage van de belastinginkomsten, neemt toe van 9 procent nu tot 20 procent in 2020 en tot 58 procent in 2040.

Er blijft zo weinig geld over voor beleid, zodat één ding onvermijdelijk is: keihard bezuinigen. Maar snijden in populaire programma’s als Medicare, Medicaid en Social Security is net zo moeilijk als het terugdringen van het heilig verklaarde wapenbezit. Wat defensie betreft (naar schatting 700 miljard per jaar, en stijgende) bleek een uiterst bescheiden voorstel van minister Gates van Defensie om de stijging een beetje in te tomen al voldoende voor heftig verzet.

Extra belastingen om het tekort aan te pakken staan gelijk aan politieke zelfmoord. Sterker, de Republikeinen zijn vast van plan om het begrotingstekort in stand te houden. Onder de oude begrotingsregels (‘pay-as-you-go’) was een toename van bestedingen alleen toegestaan als er tegelijkertijd voor hetzelfde bedrag gesneden werd of extra inkomsten werden gegenereerd.

Maar vorige week, bij het aantreden van het nieuwe Huis van Afgevaardigden, heeft de Republikeinse meerderheid nieuwe begrotingsregels ingesteld, die een uitzondering maken voor het verlagen van de belastingen. Tax cuts mogen dus eindeloos gefinancierd worden zonder te bezuinigen. Hiermee hoopt de partij de belastingverlaging voor de allerrijksten, die in december tijdelijk is verlengd, straks permanent te kunnen maken. Met de tijdelijke verlaging wordt in vijf jaar al 900 miljard dollar toegevoegd aan het tekort.

Normaal gesproken wordt fiscaal onverantwoordelijke politiek bestraft met oplopende rentes op staatsobligaties. Maar de VS genieten al zestig jaar het privilege dat ze ’s werelds reservemunt drukken, en dat ze de geldpersen onbeperkt kunnen laten draaien. Daarmee koopt de Amerikaanse Centrale Bank haar eigen staatsobligaties op om de rente laag te houden, en verder (maar dat zal het nooit toegeven) zorgt dat drukken ervoor dat de waarde van de dollar daalt, wat de VS weer competitief maken op de wereldmarkt. Zo moet de Amerikaanse economie uit het slop worden getrokken. En snel.

Het experimentele monetaire beleid jaagt de wereld schrik aan. Veel landen, en vooral China, zitten met enorme dollarreserves (2,8 biljoen dollar) en zijn bang dat die reserves straks niets meer waard zijn. Als de dollar ineenzakt vóórdat de Amerikaanse economie opkrabbelt, brokkelt hun vertrouwen in de Amerikaanse kredietwaardigheid in hoog tempo af. Als dat gebeurt, is de grootste Amerikaanse crisis aller tijden een feit: de VS krijgen hun schulden alleen nog gefinancierd door nog meer dollars te drukken. Hyperinflatie is het waarschijnlijke gevolg.

De aandelenmarkten vinden het prachtig. Dat er met goedkoop geld een groot risico is op nieuwe bubbels, maakt politici niets uit: hun campagnekassen lopen vol, nu op Wall Street de bankiers zich met hun hoge bonussen weer suf lachen. Amerika gelooft nog steeds in het cowboy-kapitalisme, met zijn boom-bust-cyclus, in leven op krediet.

Europa heeft pakweg dertig jaar in die mallemolen meegedraaid. Het wordt tijd om eruit te stappen.

Wijsheid uit het Oosten

We moeten uit de buurt blijven van die onvermijdelijke crash. En dat kan. De huidige crisis is al een puur westerse crisis. Het zijn de westerse economieën die stagneren. Elders groeit de economie onstuimig door. Wereldwijd groeide de economie in 2010 met 7 procent. Europa kan daar bij aansluiten. Nobelprijswinnaar Joseph Stieglitz noemde het ‘bizar’ dat de wereld nog steeds denkt in dollars. ‘Dat zou het al zijn als de VS hun economie op orde hadden. Maar nu dat niet zo is, is die situatie absurd.’ Lang hoeft dat niet te duren. Als Europa zijn interne financiële problemen heeft opgelost, wordt de euro een aantrekkelijk alternatief. Dan moet Europa die kans ook grijpen.

De Chinezen zijn behoedzame spelers op de financiële wereldmarkt. Ze beschikken over voldoende dollars om de VS op de knieën te dwingen, maar zullen er alles aan doen om een handelsoorlog te voorkomen. Maar je hoeft geen rocket scientist te zijn om te zien waar deze groeiende reus zijn groeikansen ziet. Over twintig jaar zijn niet de VS, maar is China de grootste economie ter wereld. De opkomende landen als China, India, Rusland en Brazilië zijn gezamenlijk nu al economisch machtiger dan het Westen. En de EU is op dit moment China’s grootste afzetmarkt.

Omgekeerd wordt China voor de EU als exportland steeds belangrijker. Een kwart van de Rotterdamse haven is nu al in gebruik voor de Chinese im- en export. China is dus zeer gebaat bij Europese stabiliteit, en Peking heeft diepe zakken gevuld met dollars, die voor de stabilisatie van de euro kunnen zorgen. Zij heeft beloofd met die enorme dollarreserves de eurozone bij te staan, door staatsschulden van landen als Griekenland, Spanje en Portugal op te kopen. Daarmee koopt China politieke invloed en belangen in industrieën. Japan heeft zich vorige week overigens ook bereid getoond de eurozone met serieuze bedragen te helpen.

Het Oosten heeft vertrouwen in Europa. Wat nog ontbreekt, is Europees vertrouwen in het Oosten. In de VS worden Chinese investeerders bijna het land uitgejaagd; hier in Europa worden ze met enig wantrouwen gadegeslagen. Ten onrechte. Ze zijn onze grote kans om aan de omarming van de wankele Amerikaanse reus te ontsnappen. En dat moet. Voordat dat land in de greep komt van een permanente politieke én financiële crisis.

Er is een andere uitstekende reden om zo snel mogelijk aan die Amerikaanse greep te ontkomen: energie. Ooit was Europa net zo verslaafd aan Arabische olie als de VS. Toen liepen de geopolitieke belangen parallel. Maar dat doen ze allang niet meer. Amerikanen zijn nog steeds verslaafd aan Arabische olie, en daaraan zal in de komende decennia weinig veranderen. Terwijl Europa het niet alleen veel zuiniger aan doet, maar ook dringend op zoek is naar alternatieven. Europa moet wel. Het heeft altijd voorrang gegeven aan een misschien minder spectaculaire, maar in ieder geval stabiele economische groei.

Dat vereist stabiele energieprijzen. Maar dankzij Amerikaanse militaire interventies is het Midden-Oosten één grote brandhaard, en is olie uit het Midden-Oosten buitengewoon onaantrekkelijk geworden. De voortdurende conflicten in de regio, en het daardoor oplaaiende terrorisme, zullen de VS hoogstwaarschijnlijk verleiden tot nieuwe militaire avonturen, zoals een aanval op Iran. Avonturen die de regio alleen maar nóg instabieler zullen maken. En dat zal de leverantie alleen maar nog onbetrouwbaarder maken.

Rusland

Maar er is ook een kans dat de VS zich de komende jaren juist terug zullen trekken uit de internationale politieke arena (zie kader.) Dat is goed nieuws voor het Midden-Oosten (met uitzondering van Saoedi-Arabië en Israël) en belangrijk nieuws voor de opkomende industriestaten, die op eigen kracht hun economische belangen zullen moeten gaan beschermen. Europa is geen militaire grootmacht en moet dat ook niet worden. Maar als het zijn welvaart wil behouden, zal het in dit spel een hoofdrol moeten spelen. Alweer een reden om verder te kijken dan het oude, atlantische bondgenootschap

Inzet van het beleid is een duurzaam evenwicht. Wat Europa nodig heeft, is een slimme combinatie van energieleveranciers en van energiebronnen: duurzame energiebronnen (nucleair, zon, wind, biomassa) én het flexibele, schone aardgas. Dat laatste betekent een nauwere band met Rusland. Nu al zijn er innige banden tussen Nederland en het Russische Gazprom. Gasunie neemt deel in Nordstream, de gaspijpleiding door de Oostzee. Als het om energie gaat, hebben we allang voor het Oosten gekozen. Daar groeit een compleet nieuwe markt, met compleet andere spelers. China heeft recent een overeenkomst gesloten voor de levering van Russisch gas. Ook hier gaan de belangen steeds meer parallel lopen.

Een nieuwe wereldorde

De American Century spoedt naar zijn einde. Het land is economisch in het slop geraakt en politiek volstrekt verlamd. Iedereen roept er om hervormingen, om nieuw elan, om eenheid. En al die idealen zijn verder weg dan ooit. Het land staat voor een ongekende zware, dubbele crisis. Europa moet te allen tijde voorkomen dat het daarin wordt meegesleurd. Het zal zo snel mogelijk aansluiting moeten zoeken bij de opkomende industrielanden.

Diezelfde landen zijn dringend op zoek naar een nieuwe economische wereldorde. Een systeem waarbinnen de ooit almachtige Verenigde Staten een bescheidener rol spelen, en waarin diezelfde VS niet meer in staat zullen zijn de wereldeconomie hun wil op te leggen. Economisch en financieel is de basis voor die nieuwe orde al gelegd. China wil zijn krachten bundelen met de nieuwe spelers, met energiegigant Rusland én met het rijke, gistende Europa.

Alles en iedereen staat klaar voor de Grote Sprong Oostwaarts. Iedereen, alleen de politiek huivert. We mogen hopen dat Europa zijn kans ziet, en benut, voordat het zinkende schip Amerika ons naar beneden trekt.

vendredi, 21 janvier 2011

Bernard Lugan: les crises africaines

Bernard Lugan:

les crises africaines

Krantenkoppen - Januari 2011 / 08

Krantenkoppen
 
Januari 2011 - 08
 
reading_paper1.jpgVN: erken 14-jarige Sahar als vluchteling
De 14-jarige Sahar Hbrahim Gel uit Sint Annaparochie moet erkend worden als vluchteling. Dat schrijft de VN-vluchtelingenorganisatie Unhcr in een brief aan haar advocaat Paul Stieger, zo bericht de Leeuwarder Courant dinsdag.
http://www.gelderlander.nl/algemeen/dgbinnenland/7989633/...
 
GroenLinks wil onderzoek moskeeën
Het college van burgemeester en wethouders van Amsterdam moet zelf een onderzoek gaan doen naar de lespraktijken in moskeeën. Dat stelt de GroenLinks-fractie van de hoofdstad nadat gisteren duidelijk werd dat een eerder onderzoek door het Verwey-Jonker Instituut op niets is uitgelopen.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/provinciaal/2011/01/gr...
 
Fatwa: geld stelen voor jihad is tof
In een verse fatwa, gisteren geïntroduceerd in tijdschrift Inspire, moedigt de Jemenitisch-Amerikaanse moslim-geestelijke Anwar Al-Awlaki moslims in de hele wereld aan om geld in te zamelen voor de jihad. Op welke manier dat gebeurt, maakt hem niet uit.
http://www.spitsnieuws.nl/archives/buitenland/2011/01/fat...
 
Klokkenluiderspartij daagt Nederlandse staat
De Nederlandse Klokkenluiderspartij (NKP) en de Europese Klokkenluiderspartij (EKP) dagen de Nederlandse staat voor het Europese Hof van de Rechten van de Mens. De partijen vermoeden een ongelijke behandeling door de staat, omdat nieuwe politieke partijen geen subsidie krijgen en bestaande partijen wel. Dat maakten de partijen dinsdag bekend.
http://www.bnr.nl/artikel/21227587/klokkenluiderspartij-d...
 
Leers in cassatie om asiel-arrest
Minister Leers voor Immigratie en Asiel gaat in cassatie tegen een rechterlijke uitspraak over een uitgeprocedeerd asielgezin.
http://nos.nl/artikel/212426-leers-in-cassatie-om-asielar...
 

jeudi, 20 janvier 2011

Duitsland: een model voor België?

Duitsland een model voor België?
De geschiedenis van Duitsland is er een van kleine staten die onder een zwakke koepel, eerst van een Rijk, later van een Duitse Bond, met elkaar wedijveren. Federalisme avant la lettre als het ware. Na de ineenstorting van het centralistisch bestuurde Derde Rijk in 1945 was er overeenstemming tussen de geallieerden en de Duitse politieke klasse om weer aan te knopen bij de oude traditie van zichzelf besturende staten die met elkaar verbonden waren.

Grondwet

Tijdens de besprekingen in 1948 voor een nieuwe Duitse grondwet verdedigde Beieren, een gewezen koninkrijk overigens, een verregaande scheiding tussen zo een ‘Bond’ en ‘Länder’ (deelstaten) om voldoende zelfstandigheid te behouden. De Parlementaire Raad, voorloper van de Bondsdag (het parlement van de in 1949 gestichte Bondsrepubliek) verkoos een federale staat waarin de federale overheid – der Bund – ruimere bevoegdheden zou genieten, ook om in de moeilijke naoorlogse periode meer samenhang tot stand te brengen op sociaal en economisch vlak.

Die ‘strijd’ leeft vandaag nog altijd voort. De grondwet legt het nastreven van ‘gelijkwaardigheid van levensomstandigheden’ vast; een Zuid-Duitse deelstaat als Beieren hamert regelmatig op meer zelfstandigheid. Het toeval wil nu dat Beieren net zoals zijn buur Baden-Württemberg een rijke deelstaat is. Wanneer het vraagtekens plaatst bij de financiële transfers die kenmerkend zijn voor een federale staat, wekt het dus de indruk dat zijn verlangen naar meer ‘macht’ ingegeven is door financieel eigenbelang. Geld is natuurlijk een belangrijk motief, maar dat is ook de drang om zich te onderscheiden, concreet bijvoorbeeld om zijn sterk onderwijssysteem te kunnen behouden.

Solidariteit

Wat wij in België solidariteit noemen, heet in Duitsland dus ‘gelijkwaardigheid van levensomstandigheden’. Er mogen geen al te grote verschillen bestaan tussen de deelstaten. De zwakke broertjes onder de Länder moeten opgetild worden tot een niveau waarbij hun financiële kracht het gemiddelde van alle deelstaten, tussen 97% en 98 %, bereikt.

Dat gebeurt door een verdeling van de inkomsten uit de BTW, toewijzingen door de federale overheid, en door de zogeheten ‘Länderfinanzausgleich’, waarbij de rijke deelstaten een gedeelte van hun inkomsten afstaan aan de armere.

In de oude Bondsrepubliek (van voor 1990) waren het al een klein aantal deelstaten die de last van de ‘Länderfinanzausgleich’ moesten dragen (West-Berlijn kreeg direct steun van de federale overheid); met de eenmaking vervoegden vijf arme Oost-Duitse deelstaten en Berlijn – nu een deelstaat zoals alle andere – het rijtje van de ‘Nehmerländer’ of ontvangers. Tussen de Duitse deelstaten wordt 6,9 miljard € herverdeeld. Daarvan neemt Beieren bijna de helft voor zijn rekening, een bedrag dat overeenkomt met meer dan 10 % van de belastinginkomsten van de Beierse staatskas. Zoals Guy Tegenbos in De Standaard van 12 januari 2011 aantoont, is de solidariteit van Vlaanderen naar Wallonië relatief gezien wel anderhalve maal zwaarder dan die tussen de rijke en arme Duitse deelstaten.

Dynamiek

De bedoeling is dat de deelstaten qua financiële kracht naar elkaar toegroeien in het kader van een sterk uitgeruste bondsstaat. De institutionele prijs die ze daarvoor betalen, is die van een beperkte zelfstandigheid met veel gemengde en weinig exclusieve bevoegdheden (bijvoorbeeld onderwijs). Dat wordt daardoor gecompenseerd dat ze een stem in het kapittel hebben via een vaste vertegenwoordiging in de Bondsraad, de deelstatenkamer van het parlement.

Naargelang van hun grootte hebben de deelstaten elk drie tot zes van de in totaal 69 zetels in de Bondsraad. Die heeft inspraakrecht in de federale wetgeving waar deze de belangen van de deelstaten raakt. De politieke consequenties kunnen heel groot zijn. Duitsland kent geen samenvallende verkiezingen. De Länder worden vaak door andere meerderheden geregeerd dan de federale staat.

De partijen die in de Bondsdag in de oppositie zitten, halen vaak hun slag thuis doordat ze daar gestemde wetten kunnen blokkeren in de Bondsraad. De federale regering vindt dat uiteraard niet leuk. Het kan verlammend werken, maar ook een grote dynamiek verlenen. De debatcultuur is erg uitgesproken, er zijn tegengewichten en er ontstaat zo ook veel ruimte voor experimenteren.

Al van in de jaren ’90 dringt Beieren op een hervorming van het federale systeem met het oog op meer ‘Wettbewerb’ of innovatie versterkende concurrentie tussen de deelstaten. Het prijst zichzelf graag als voorbeeld aan onder het motto ‘Laptop und Lederhose’, als regio die traditie en technologische innovatie aan elkaar koppelt. Het klopt dat we vroeger ook steun genoten (van 1950 tot 1986), zeggen de Beieren, maar die is tenminste niet in een bodemloos vat gevloeid: we hebben ons als enige ontvanger opgewerkt tot gever.

Klacht

Nu denken Beieren, Baden-Württemberg en Hessen eraan een klacht tegen het systeem in te spannen bij het Grondwettelijk Hof indien er geen onderhandelde oplossing met de ontvangers uit de bus komt. De rijke Länder vinden dat de ‘Länderfinanzausgleich’ de arme ‘vadsig’ maakt en te weinig aanspoort tot sparen.

Volgens het grondwettelijk vastgelegde principe van de schuldenafremming mogen de Länder vanaf 2020 geen nieuwe schulden meer maken. Hoe moet dat lukken met de begrotingstekorten in de arme Länder? Zelf zeggen de politici van de rijke Länder het niet uitgelegd te krijgen aan de burgers dat hun universiteiten inschrijvingsgeld vragen van de studenten terwijl het onderwijs in sommige arme Länder gratis is.

Staatsbedreigend?

De discussie in Duitsland is echter minder ‘staatsbedreigend’ dan in België omdat een eventuele spanning niet geaccentueerd wordt door het toebehoren van de verschillende blokken tot een andere cultuur- of taalgemeenschap. Regionale verschillen wegen niet zwaar genoeg door om het homogene karakter van Duitsland op de helling te zetten.

Zelfs als de “Länderfinanzausgleich’ grondig hervormd wordt, zullen de inwoners van de verschillende deelstaten zich nog altijd als Duits staatsburger voelen. Zelfs een verandering van de grenzen van de deelstaten of het samenvoegen van deelstaten zou – als ze met succes bekroond werd – ietwat wrok te weeg kunnen brengen, maar aan de overkoepelende identiteit van de mensen als Duitser verandert er niets.

Ook in Duitsland bestaat er geen federale kieskring. Als remedie kan het niet eens van pas komen. Maar de Duitsers hebben wel unitaire partijen voor heel het land, met uitzondering van Beieren dat een eigen christendemocratische partij heeft. Misschien geen toeval dat net vanuit Beieren signalen uitgezonden worden om het federale systeem aan te passen?

Dirk Rochtus doceert Duitse geschiedenis en internationale politiek aan Lessius Antwerpen.

Das sind die Risiken für die EU im Jahr 2011

Das sind die Risiken für die EU im Jahr 2011

Michael Grandt

 

Das neue Jahr wird wohl in die Geschichte der Europäischen Union eingehen: Der Euro kämpft um sein Überleben und die Währungsunion um ihren Weiterbestand. Eine Transferunion oder gar der Zerfall drohen.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/michael-g...

 

 

mercredi, 19 janvier 2011

Philippe Conrad présente "2030, la fin de la mondialisation" d'Hervé Coutau-Bégarie


Philippe Conrad présente "2030, la fin de la mondialisation" d'Hervé Coutau-Bégarie

Tunesië: Egypte en VS op confrontatiekoers

aagheit.jpgTunesië: Egypte en VS op confrontatiekoers
       
SHARM EL-SHEIKH 16/01 (AFP/DPA) = Enkele dagen nadat zijn Amerikaanse
collega Hillary Clinton hervormingen in de Arabische wereld bepleitte
heeft de Egyptische minister van Buitenlandse Zaken Ahmed Aboul Gheit (foto) de westerse landen zondag gewaarschuwd voor bemoeinissen met
Arabische aangelegenheden. Aboul Gheit vreest niet dat de revolutie in
Tunesië zou overslaan naar andere Arabische landen.

In een verklaring laakt Aboul Gheit de pogingen van sommige westerse
landen om zich in te laten met Egyptische en Arabische zaken. De
minister zal deze week op een Arabische bijeenkomst in Sharm el-Sheikh
aandringen op een verklaring waarin de westerse wereld wordt
aangemaand zich niet te moeien met Arabische zaken.

Donderdag had Clinton vanuit Doha de Arabische regimes opgeroepen
om meer politieke vrijheid en economische perspectieven te schenken
aan hun bevolking. Zoniet zullen corruptie en stagnatie mensen in de
armen van extremisten jagen, waarschuwde Clinton.

Die boodschap maakte Clinton zondag ook over in een telefoongesprek
met haar Tunesische collega Kamel Morjane. De Amerikaanse
buitenlandminister zou zich wel lovend hebben uitgesproken over de
bereidheid die overgangspresident Foued Mebazaa en premier Mohamed Ghannouchi
aan de dag leggen om samen te werken met Tunesiërs van alle
politieke strekkingen.

Aboul Gheit is niet bevreesd dat de Tunesische volkswoede en de val
van president Ben Ali inspirerend zou werken in andere landen. "Dat
is absurd. Elke samenleving heeft zijn eigen specificiteit", zo
noemde de Egyptische minister het besmettingsgevaar.

Pierre Vial: Las Mascaras caen !

LAS MÁSCARAS CAEN (1)

 

Pierre VIAL (blog de Tierra y Pueblo )

 

vial01.jpgEl sitio (electrónico) WikiLeaks ha hecho un trabajo de salubridad pública al desvelar una gran cantidad de las vilezas de nuestros “grandísimos amigos americanos”. Quienes, por ejemplo, explotan a fondo –cuestión de juego limpio– el servilismo sarkozyano en beneficio propio (véase la página 4) (2).

 

Pero hay otras muchas revelaciones sobre los fondos ocultos de la política americana, que habitualmente permanecen en el secreto de los despachos afieltrados de las embajadas. Ahora, todo se extiende sobre la plaza pública y ello está bien así pues sólo los tontos y sobretodo los ciegos y los sordos voluntarios podrán decir que ellos no sabían nada...

 

 Así lo son las consignas de “vigilancia” organizada, sistemática, dadas a los diplomáticos americanos que trabajan en las Naciones Unidas, que deben espiar a sus colegas de las otras embajadas pero también a los funcionarios de la O.N.U. Un cablegrama del 31 de Julio de 2009, firmado por Hillary Clinton y clasificado por supuesto como “alto secreto”, no deja ninguna ambigüedad al respecto: Hay que descubrir y transmitir a los servicios americanos concernidos (la “Comunidad de la Información”, es decir la National Security Agency o N.S.A.) los números de las cuentas bancarias de los “objetivos”, sus números de las tarjetas de fidelización de las compañías aéreas, sus horarios de trabajo, sus huellas digitales, su ADN, su firma, sus números de teléfono móvil (con los códigos secretos, al igual que para las direcciones electrónicas). Valiendo ello también, por supuesto, para los sedicentes mejores aliados de los Estados Unidos.

 

 Estos últimos tienen pues una cuenta que saldar con el australiano Julian Assange, fundador de WikiLeeks. Quien acaba de ser oportunamente encarcelado en Inglaterra tras una orden de detención dictada contra él en Suecia por un “asunto de hábitos” –léase escándalo sexual. N. del T.–. Una “buena noticia”, apreció, sin reír, el secretario de la Defensa estadounidense Robert Gates. Mientras que WikiLeaks, desde sus primeras revelaciones, era el blanco de ataques cibernéticos, el servicio de pago por internet PayPal, después las compañías de tarjetas de crédito Visa y MasterCard interrumpían las transferencias de fondos hacia las cuentas de WikiLeaks y el banco suizo Postfinance cerraba la cuenta de Assange, congelando sus activos.

 

 No se le perdona a Assange haber revelado que, en todas las relaciones mantenidas por los Estados Unidos con los diversos países del mundo, reina un cinismo permanente. Mientras que son demostradas ciertas tendencias con mucho peso de la política americana, como el apoyo incondicional aportado a Israel.

 

 He aquí lo que nos lleva a enlazar con un asunto muy desagradable. Llegando a tener que lamentar haber tenido razón y que preferiríamos habernos equivocado. Desgraciadamente... Los hechos están ahí y son tozudos. Cuando publiqué en el número 44 de Terre et Peuple “Grandes maniobras judías de seducción hacia la extrema-derecha europea” (3), no quise citar a ciertos nombres, en beneficio de la duda. Hoy la duda ya no está permitida.

 

 De hecho, una delegación de representantes de movimientos “nacionalistas europeos” rendía visita en “peregrinación” a Israel a principios de Diciembre. Estaba compuesta, entre otros, por Heinz~Christian Strache, presidente del FPÖ austriaco, Andreas Moelzer, eurodiputado del FPÖ, Filip Dewinter y Frank Creyelmans, del Vlaams Belang (siendo Creyelmans presidente de la comisión de asuntos exteriores del Parlamento flamenco), René Statkewitz y Patrick Brinkmann (del alemán Pro NRW). Recibida en la Knesset, la delegación depositó una corona de flores ante el Muro de las Lamentaciones (ahí están las fotos de Strache y Moelzer tocados con la kipá...), después rindió visita a la frontera entre Israel y la Franja de Gaza, en la que se encontró con oficiales israelíes de alta graduación encargados de explicarle la situación sobre el terreno. Visita de la ciudad de Ashkelón, recepción por el alcalde de Sderot, entrevistas con el ministro Ayoob Kara, del Likud, y el rabino Nissim Zeev, diputado del movimiento Shas (catalogado como de “extrema-derecha”), ambos activos partidarios del Gran Israel que implica el rechazo de la evacuación de las colonias judías de Cisjordania...

 

La razón oficial de la presencia de tal delegación era la participación en un coloquio justificando la política israelita contra los palestinos. De ahí la Declaración de Israel presentada por los visitantes europeos y afirmando: «Hemos derrotado a sistemas totalitarios como el Fascismo, el Nacional~Socialismo y el Comunismo. Ahora nos encontramos ante una nueva amenaza, la del fundamentalismo islámico, y tomaremos parte en la lucha mundial de los defensores de la democracia y de los derechos del hombre». Dewinter precisó: «Visto que Israel es el puesto avanzado del Oeste libre, debemos unir nuestras fuerzas y luchar juntos contra el islamismo aquí y en nuestra casa». En pocas palabras, la trampa que ya denuncié con anterioridad ha funcionado muy bien.

 

 Esa gente, guiada por la preocupación de lograr a cualquier precio una carrera politicastra, ha elegido lo que Marine Le Pen llama la “desdiabolización”. Dicho de otro modo ponerse al servicio de Tel Aviv. Lamentable y sin duda inútil cálculo.

 

 Nosotros, tenemos una línea clara: Ni kipá ni kuffiya, ni kosher ni halal, ni Tsahal ni Hamás. No luchamos más que por los nuestros. Contra los invasores y los explotadores. ¡NO, NO MORIREMOS POR TEL AVIV!

 

Pierre VIAL

 

Traducción a cargo de Tierra y Pueblo

 

Notas del Traductor

 

1.- Artículo, a modo de editorial, aparecido originalmente en el número 46, correspondiente al Solsticio de Invierno de 2010, de la revista identitaria gala y europea Terre et Peuple. Magazine y en la página electrónica de la propia asociación identitaria homónima que la edita (véase aquí).

 

2.- En la página 4 del mismo número 46 de la referida revista Terre et Peuple y bajo el título de «Sarkozy, “el presidente más proamericano desde la Segunda Guerra Mundial”» encontramos las siguientes líneas respecto al inequívoco servilismo del “gran” presidente “francés” Nicolas Sarkozy al “gran faro de Occidente”:

No somos nosotros quienes lo decimos si no uno de los 250.000 cablegramas diplomáticos del Departamento de Estado americano revelados por el sitio electrónico WikiLeaks, que se ha dado como cometido hacer públicos a través de internet documentos oficiales que no estaban destinados a serlo (Le Monde, 30 de Noviembre y 2 de Diciembre de 2010). Dieciséis meses antes de anunciarlo al pueblo francés, Sarkozy informa, el 1º de Agosto de 2005, al embajador americano en París Craig Stapleton y al consejero económico del presidente Bush, Allan Hubbard, que será candidato en las elecciones presidenciales de 2007. Sarkozy, escribe Le Monde, «hace, durante tal encuentro, una verdadera declaración de amor a los americanos», denunciando el veto de la Francia de Chirac y de Villepin en el Consejo de Seguridad de la O.N.U. contra la invasión de Irak por los Estados Unidos, en Febrero de 2002, como “una reacción injustificable”. Tras su elección en 2007, los diplomáticos americanos que han tenido que tratar algún asunto con Sarkozy dicen adorar de él «el liberalismo, el atlantismo y el comunitarismo». ¿Comunitarismo? ¿Con relación a qué comunidad? La embajada de los Estados Unidos en Francia responde: «La herencia judía de Sarkozy y su afinidad por Israel son célebres». Tanto que nombró a la cabeza del Quai d’Orsay –sede oficial del ministerio inherente. N. del T.– a Bernard Kouchner, «el primer ministro de asuntos exteriores judío de la Vª República», de quien hay que alabar su “dedicación” cuando fue jefe de la O.N.U. en Kosovo. Y después hay que felicitarse también por el nombramiento de Jean~David Lévitte, antiguo embajador en los Estados Unidos, como consejero diplomático en el Elíseo –sede oficial de la presidencia. N. del T.–. Así como del nombramiento en el ministerio de la Defensa de Hervé Morin: «Próximo de la embajada –americana, por supuesto. N. de la R.–, amigable y directo, asume su afección por los Estados Unidos y está entre los más atlantistas de los diputados». Sarkozy no esconde su pretensión de querer el «retorno de Francia al corazón de la familia occidental» (en claro: El reingreso completo de Francia en el seno de la O.T.A.N.). En los tiempos en que, antes de 2007, Sarkozy no era todavía más que el presidente de la U.M.P., Hervé de Charrette se personó para rendir pleitesía, en su nombre, ante la embajada americana, afirmando que el futuro presidente de la República (francesa) quería que «la relación con los Estados Unidos sea la base de la diplomacia de Francia». Sarkozy, una vez convertido en el huésped del Elíseo, es ya, apuntan los diplomáticos americanos, «EL partenaire de los Estados Unidos en Europa». Algo de lo más normal, habida cuenta de «su identificación personal con los valores americanos».

 

3.- El artículo “Grandes maniobras judías de seducción hacia la extrema-derecha europea” es la lógica consecuencia de un texto previo del mismo Pierre Vial titulado Por una estrategia identitaria en Europa y hecho público el 5 de Abril de 2010. Este último puede ser consultado por el lector en la página electrónica válida de Tierra y Pueblo, tierraypueblo.blogspot.com. Mientras que el artículo sobre las referidas “grandes maniobras judías...” también puede ser consultado, originalmente en francés, en el portal electrónico de Terre et Peuple, terreetpeuple.com; y, en su versión en castellano, en el sitio electrónico de Tribuna de Europa, tribunadeeuropa.com. Otros no menos interesantes artículos relacionados con este tema fundamental que implica y marca una separación absoluta y clara entre el genuino movimiento identitario y social-patriota revolucionario europeo {representado, entre otros, por Terre et Peuple en Francia y Walonia, Thule~Seminar en Alemania, Tierra y Pueblo –hay que recordar que total y satisfactoriamente depurada, refundada y reorganizada por el propio Pierre Vial en Las Navas de Tolosa el 1º de Mayo de 2010–, M.S.R. y Frente Nacional en España, etcétera...} y la innegable extrema-derecha burguesa, liberal, atlantista y, cómo no, prosionista hasta la médula {representada, entre otros, por Vlaams Belang en Bélgica, FPÖ en Austria, Pro NRW en Alemania, Sverigedemokraterna en Suecia, los autoproclamados “Identitaires” en Francia, su correa de transmisión estratégica en España, cierto “andamiaje catalán”, etcétera...} también pueden ser consultados en el mismo sitio electrónico de Tribuna de Europa (artículo 1, artículo 2, artículo 3, artículo 4, artículo 5, artículo 6, artículo 7) y en el del Foro Frentismo, frentismo.crearforo.com.